Sara De Bellis

Mese: Aprile 2020

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È ragionevole ipotizzare che la propensione a frequentare bar e ristoranti dipenderà anche dall’intensità con cui i territori e, di conseguenza, i residenti hanno vissuto l’emergenza sanitaria. Non a caso a Roma si rileva una quota più elevata (31%), rispetto a Milano (18%), di «propensi» a ritornare a frequentare i locali non appena possibile. Anche i Millennials (26-45 anni) si mostrano più fiduciosi di tornare quanto prima alla normalità, fatta anche di consumi fuori casa. 1 Italiano su 2 (45%) punterà sulla fiducia e la conoscenza personale del gestore. Più in generale, il 70% degli italiani torneranno a frequentare locali conosciuti o già frequentati in passato e 2 Italiani su 10 (20%) si dichiarano disposti a provare posti/locali nuovi, purché siano rispettate le norme di sicurezza. Dunque, questa è un’area fondamentale su cui dovranno lavorare i gestori nella Fase 2: rassicurare la clientela. 

E come si rassicura una clientela? Se il plexiglass sui tavoli, le distanze, le mascherine e i numeri dei coperti non convincono, né tengono conto delle realistiche dinamiche della cucina e del servizio, né fanno rima con la grammatica della ristorazione e, soprattutto, tutto sottraggono al fascino e alla piacevolezza di un’esperienza fuori casa condivisa e senza pensieri, ecco che, per trovare una nuova via che metta d’accordo esigenze e sicurezza, l’attenzione si sposta inevitabilmente dall’interno all’esterno.

Così, ogni realtà tenta di provvedere a se stessa. Due i casi che approfondiremo qui, quello di Roma, tra attese, disattese e promesse, e quello della Calabria che sta scatenando polemiche, rivolte di alcuni comuni della regione e tanto di Governo che ha preso posizione contro l’ordinanza calabrese.

Proprio da oggi infatti, 30 aprile 2020, in Calabria viene “consentita la ripresa delle attività di bar, pasticcerie, ristoranti, pizzerie, agriturismo con somministrazione esclusiva attraverso il servizio con tavoli all’aperto”, così come prevede l’ordinanza per la fase 2 del Presidente di Regione Jole Santelli.

La regione è nella parte bassa della classifica nazionale dei contagi per il Covid-19, con 1.102 persone positive, cinque in più nelle ultime 24 ore, e 86 vittime dall’inizio dell’emergenza. “Poiché in queste settimane – spiega Santelli – i calabresi hanno dimostrato senso civico e rispetto delle regole, è giusto che la Regione ponga in loro fiducia. Sapranno dimostrare buon senso nel gestire i nuovi spazi di apertura che la Regione ha deciso di consentire, anche oltre il dettato del governo“.

Si tratta di una misura unica nel panorama nazionale in vista della ripresa delle attività e che – spiega la presidente della Regione – “parla il linguaggio della fiducia“. Il documento dispone una serie di riaperture tra cui anche il commercio di generi alimentari nei mercati all’aperto, inclusa la vendita ambulante anche fuori dal proprio Comune, fermo restando il rispetto delle distanze interpersonali e l’uso delle mascherine e guanti. Sarà consentito anche il commercio al dettaglio di fiori, piante, semi e fertilizzanti.

Riprendono le attività di ristoranti, pizzerie, rosticcerie per la vendite d’asporto, ma questi stessi locali – bar compresi – potranno anche somministrare sul posto e solo attraverso tavoli all’aperto.

Come era prevedibile, il governo si avvia alla diffida dell’ordinanza della Regione Calabria che dispone l’apertura di bar, ristoranti e pasticcerie. 

La diffida è il passo che precede l’impugnativa. Si tratta, in estrema sintesi, di una lettera con cui si invita il governatore a rimuovere le parti incoerenti dell’ordinanza rispetto al Dpcm varato dal premier Conte. Se le modifiche al Dpcm sul lockdown in vigore fino al 3 maggio non verranno apportate, il governo potrà a quel punto decidere di ricorrere al Tar o alla Consulta e impugnarla. 

Oltre al Governo anche Comuni della Calabria che sono scesi in rivolta contro l’ordinanza firmata dalla governatrice Jole Santelli: a Carlopoli, nel Catanzarese, il sindaco Mario Talarico in un avviso contesta l’atto e aggiunge che si atterrà a quanto previsto dai Dpcm del 10 e 26 aprile. Il sindaco di Lamezia Terme, Paolo Mascaro, annuncia la non applicazione mentre il sindaco di Trebisacce, Franco Mundo, si riserva di impugnare il provvedimento.

E Roma che dice? La notizia è di circa un mese fa, non ha fatto grande eco, ma guarda con fiducia alla ripresa. La sindaca ne ha dato l’annuncio prima sul profilo Facebook e poi nel corso della prima Assemblea capitolina totalmente in streaming – cioè con tutti i consiglieri collegati da casa -, spiegando che «questo potrà contribuire a far ripartire un settore particolarmente penalizzato» a causa delle misure anti-contagio imposte dal governo.

«Niente tassa di occupazione del suolo pubblico nel 2020». Così, una volta rientrata l’emergenza coronavirus, bar, ristoranti e locali romani potranno recuperare cassa ri-allestendo tavolini e dehors all’aperto con «un costo in meno da sostenere», dice Virginia Raggi.

Dopo il differimento al 30 settembre della Tari (la prima rata era in scadenza il 30 giugno), ecco lo slittamento al 2021 della Cosap – sigla della tassa per l’occupazione del suolo pubblico: 90 milioni di euro l’anno nelle casse del Comune – che si accompagna ad una rimodulazione fiscale per i mercati all’aperto: «Lì il 65% di questa tassa viene usata per gli interventi di manutenzione, così il Comune rinuncerà al 35% di sua spettanza», ha specificato la sindaca (che ha pure confermato il lavoro dell’Istituto di previdenza per i dipendenti capitolini, l’Ipa, sul «Covid Impact», un’assicurazione calibrata sugli eventuali danni da coronavirus).

Sono invece molto più fresche le sue ultime dichiarazioni. “Per ripartire bisogna sostenere bar, ristoranti, negozi e tutte le piccole imprese di Roma che costituiscono una parte fondamentale dell’economia della città. È quanto ho ribadito a una delegazione di ristoratori che ho incontrato in piazza del Campidoglio.

Con un gesto simbolico mi hanno consegnato una chiave, chiedendomi di custodirla e di riconsegnarla loro quando saranno in grado di riaprire i loro locali. L’ho accettata volentieri, perché credo che sia compito dell’Amministrazione pubblica farsi carico delle difficoltà dei propri cittadini e ascoltare le loro istanze.

Allo stesso modo ho accolto la richiesta di farmi portavoce presso il Governo delle loro esigenze economiche. Noi, come Roma Capitale, stiamo facendo il massimo per alleviare la crisi provocata dall’emergenza coronavirus e rendere meno difficile la riapertura degli esercizi commerciali: abbiamo sospeso le tasse locali, a partire dal canone di occupazione di suolo pubblico per gli spazi esterni di ristoranti e bar, e abbiamo creato il fondo #RomaRiapre destinato a sostenere proprio negozi e piccoli imprenditori.

Intendiamo continuare a essere al loro fianco, perché solo insieme riusciremo a superare questa fase. Solo insieme riusciremo a ripartire.”

Speriamo bene. Nel frattempo per chi volesse aderire prosegue #RomaRiapre, la raccolta fondi per piccole imprese e negozi. L’iniziativa vuole contribuire concretamente a sostenere la ripresa delle attività. Le donazioni potranno essere effettuate mediante bonifico. Info su: comune.roma.it . #RomaInforma

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Pomodoro, Carota, Anguria sono 3 esempi del lungo e attento lavoro di selezioni agroalimentari che nel tempo ha dato nuovo colore agli alimenti concentrando proprietà nutritive da un lato e attraendo lo sguardo dall’altra.

La vista è un senso dominante, ci permette di relazionarci agli oggetti che ci circondano, di scegliere in base all’aspetto estetico e/o cromatico predisponendoci o meno al consumo di un alimento, fornendoci informazioni istintive sulla qualità e la freschezza del prodotto.

Frutta e verdura contengono dei pigmenti fitonutrienti (flavonoidi, fenoli, terpeni, fitati, isotiocianati, indoli) che, esercitando una naturale funzione visivo-attrattiva sulle nostre scelte alimentari, producono effetti benefici sul nostro l’organismo e svolgono funzioni importanti per la salute del corpo.

E’ stato inoltre provato scientificamente che il nostro cervello associa al colore dei cibi sensazioni positive o negative secondo un “pregresso mentale” che ci lega a sensazioni gradevoli o spiacevoli vissute nel passato;  quando un alimento si presenta di un colore diverso da quello a cui siamo abituati subito veniamo investiti da una sensazione di diffidenza. 

Il rosso ha una forza stimolante che potrebbe sviluppare anche l’appetito, in altri soggetti, invece, lo stesso colore stimola anche le aree del pericolo e dell’attenzione trasmettendo un diverso influsso. 

Il blu-violetto, grazie alle sue virtù calmanti, calma la fame: queste sono le tinte dell’equilibrio: i cibi che vanno dal viola all’indaco sono particolarmente ricchi di magnesio e di altri elementi fondamentali per le funzioni cerebrali, inoltre sono considerati i migliori antidoti alla fame nervosa, svolgono una benefica azione sul sistema nervoso, sul cervello e sulle facoltà intellettive superiori;

Chi mangia troppo velocemente dovrebbe consumare molti cibi verdi. Il verde, infatti, riporta alla stabilità ed è un buon colore antivoracità, tutta la verdura a foglia verde contiene clorofilla, luteina, carotenoidi, magnesio, folati (o vitamina B9) e vitamina C utili nel prevenire malattie del cuore e tumori e preziosi per sistema nervoso, vista e pressione sanguigna. Chi ha problemi di digestione dovrebbe orientarsi sull’arancione, colore energetico che favorisce l’assimilazione del cibo, e sul giallo, che agevola la produzione di succhi gastrici e riduce i gonfiori addominali. Il giallo sembra essere il colore preferito dai golosi. Trasmette energia, allegria, senso di benessere, estroversione e lucidità cosciente. Il bianco, il colore della semplicità e della depurazione, ci riporta a cibi basici come latte e riso. Finocchio, cipolla, e cavolo bianco, sedano rapa, indivia belga, mela, pera e banana contengono tra gli altri flavonoidi, vitamina C e selenio utili al cuore ed alle ossa. Il nero, ricco di mistero, ha una forte valenza erotica, nonostante il nero simbolicamente sia il colore che assorbe ed annulla l’energia. Negli ultimi anni i cibi di colore nero o comunque molto scuro sono stati riconosciuti come salutari. 

Tenendo presente queste coordinate psico-cromatiche, quali sono gli alimenti che nel corso del tempo hanno dovuto modificare il loro colore naturale per mostrare maggiore appeal?

Primo tra tutti sua maestà il POMODORO. Già il suo nome dovrebbe fornirci delle indicazioni, basta scomporre la parola “pomodoro” in “pomo d’oro“. I pomodori infatti anticamente erano di colore giallo e hanno mantenuto il lusinghiero paragone con l’oro almeno nel nome, il riferimento alla bellezza del frutto non è casuale: si tratta di un nome coniato in Francia nel diciottesimo secolo, quando i pomodori erano utilizzati come specie ornamentale.

Se le selezioni varietali nei secoli lo hanno reso di colore rosso, garantendone la popolarità per la sua capacità di vivacizzare le vivande sulle quali viene utilizzato, è ormai accertato che il suo successo sia anche dovuto alla principale sostanza colorante contenuta nel pomodoro rosso (licopene) che svolge un’ azione positiva sulla nostra salute (è antiossidante, cioè agisce contro i radicali liberi) e quindi i selezionatori hanno lavorato e stanno ancora lavorando per ottenere delle varietà con elevato contenuto di questa sostanza.

Con il tempo i pomodori rossi sono diventati prevalenti rispetto a quelli gialli, che rappresentano oggi però tornano alla ribalta come “TREND FOOD”.

Non è l’unico ortaggio ad aver cambiato radicalmente tinta: le carote originariamente erano viola.

Le carote viola risalgono al 2000 a.C. Furono i commercianti arabi a esportarle in diversi paesi nei secoli. Si dice che le carote avessero anche diversi colori. In base alla zona in cui venivano coltivate, le carote assumevano colore diverso: bianche, gialle e addirittura color porpora, nere.

Le classiche carote arancioni comparvero nei Paesi Bassi durante il XVII secolo. In effetti, si tratta di un ibrido, cioè una combinazione fatta dagli agricoltori olandesi che vollero omaggiare la casa reale olandese (gli Orange).

L’anguria (per i botanici cucumis citrullus o citrullus vulgaris) è uno dei frutti più apprezzati nelle calde e assolate giornate estive. Oltre a questo nome, con cui è conosciuta nell’Italia settentrionale, troviamo il toscano cocomero, il napoletano melone d’acqua e poi le versioni dialettali: pateca in Liguria e zipangulu in Calabria. Se ci spostiamo oltreconfine troviamo: watermelonwassermelonmelon d’eau e sandia.

Per quanto riguarda l’origine del nome abbiamo diverse spiegazioni: cocomero farebbe riferimento al colore del cetriolo mentre anguria avrebbe una derivazione bizantina (angouri, cioè frutto immaturo). Watermelon e melon d’eau, invece, si riferiscono all’elevato contenuto di acqua di questo frutto.

Ma questo frutto nel 17esimo secolo era decisamente diverso, come dimostra il quadro di Giovanni Stanchi detto “Dei Fiori”, che è stato pittore di stampo caravaggesco e naturalista dal decorativismo palesemente Barocco o baroccheggiante.

Le angurie di Stanchi, che sono state dipinte intorno al 1645-1672, ci permettono d’intravedere un tempo, prima che la coltivazione sistematica cambiasse i frutti per sempre.

Le angurie originariamente provenivano dall’Africa, ma dopo l’addomesticazione sono prosperate nei climi caldi del Medio Oriente e dell’Europa del sud. Divenne probabilmente coltura comune nei giardini e nei mercati attorno al 1600. I vecchi cocomeri, come quello dipinto dallo Stanchi, presumibilmente erano molto gustosi e il grado di zuccheri contenuto nel frutto avrebbe dovuto essere ragionevolmente alto dato che questi stessi meloni venivano consumati freschi e talvolta fermentati nel vino, eppure sembrano così diversi dal nostro attuale cocomero e questo perché nel tempo abbiamo cominciato a coltivarlo con l’intento d’ottenere quel rosso intenso che gli riconosciamo oggi.

Quella carnosa parte interna del frutto in realtà è la placenta che contiene i semi del cocomero il quale prima che fosse definitivamente addomesticato difettava, sempre nella medesima placenta, di quell’alta concentrazione di licopene che pigmenta del suo caratteristico rosso acceso gli stessi frutti così come li conosciamo noi oggi. Attraverso centinaia d’anni di domesticazione abbiamo modificato dei piccoli cocomeri la cui placenta era bianca, in frutti più grossi e carichi di licopene come nella versione che troviamo oggi.

Di certo non abbiamo solo cambiato il colore dei cocomeri, per esempio le Banane, coltivate già 7.000 anni fa, apparivano molto diverse rispetto ad oggi. Erano infatti ricche di semi di grandi dimensioni. Oggi invece la polpa è compatta e il sapore è più ricco.

Anche le Melanzane, provenienti dalla Cina, erano di molti forme e colori, come bianco, azzurro, viola o giallo. Avevano spine nel punto in cui il gambo era collegato ai fiori. Oggi non c’è traccia delle spine e le dimensioni sono maggiori, così come il colore dominante è il viola.

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Mezz’ora o poco più. L’Italia incollata davanti allo schermo. Tante le domande, troppe le concrete preoccupazioni di un settore che non viene ascoltato, che non riceve coordinate precise, che se le riceve sono così lontane dalle logiche e ancor più dalle logistiche, dai meccanismi interni della ristorazione, che davvero non riesce più a capire come aprire i battenti, a parte “rimboccarsi le maniche”, nuovo imperativo categorico per tutti (ma questo era piuttosto ovvio).

“Se ami l’Italia, mantieni le distanze!”, dice il Premier Conte nella Conferenza stampa di ieri 26 Aprile 2020, e questo lo stiamo facendo. “Sarà fondamentale il comportamento responsabile di ciascuno di noi: Non bisogna mai avvicinarsi, al distanza di sicurezza deve essere di almeno un metro. Se non rispettiamo le precauzioni la curva risalirà, aumenteranno i morti e avremmo danni irreversibili per la nostra economia.”

“La fase 2 che scatta dal 4 maggio sarà comunque adattata all’andamento della curva dei contagi”, sottolinea. Nel frattempo tra mascherine e parenti, si allungano le date per la ristorazione, con una “semi-apertura” concessa tramite l’Asporto, a metà strada tra un “contentino” una “mezza misura” per il contenimento del Virus e per qualcosa che suona come “stiamo a vedere che succede”.

Dal 4 maggio via libera (?) al Cibo da asporto. Bar e ristoranti rimangono chiusi ma sarà possibile acquistare cibo da asporto «da consumare a casa o in ufficio», entrando uno alla volta evitando di stazionare davanti ai locali.

L’avvertimento è forte e chiaro: «Non è un libera tutti. Non sono consentiti party privati e ritrovi di famiglia, lo dico ai giovani e agli adulti». E quando si va a trovare i familiari «bisogna mantenere la distanza». Le aspettative di pieno ritorno alla normalità sono andate deluse. Il piano del governo «per convivere con il virus» è riaprire gradualmente, in modo da tenere sotto controllo la curva dei contagi e scongiurare che le terapie intensive possano tornare sotto pressione. «Per non ammalarsi» il premier spiega che è stata inserita nel Dpcm «una regola più stringente» per chi ha sintomi e febbre a 37,5: «Rimanere a casa, evitare contatti e avvertire il medico».

Per quanto riguarda le aperture, queste le nuove scadenze: 4 maggio le aziende, 18 maggio negozi, musei e cantieri privati, dal 1 giugno parrucchieri, centri estetici e, dopo la lunga attesa, potranno riaprire bar, ristoranti, pasticcerie, gelaterie.

In base all’ampiezza dei locali e agli spazi disponibili i ristoranti perderanno la metà dei posti a sedere a causa delle regole di distanziamento: due metri tra un tavolo e l’altro. I camerieri indosseranno guanti e mascherine. Ma al tavolo bisogna arrivarci, e magari, per educazione e pulizia, si va persino al bagno a lavarsi le mani, Come passo in mezzo ai tavoli? E se mi casca il tovagliolo e mi faccio indietro con la sedia annullando la distanza tra me e chi mi è dietro, o al gentile ospite del tavolo accanto? E le cucine piccole? I locali con pochi coperti? E i camerieri? Come verranno gestite le ordinazioni? E gli affitti? Il personale? I Costi fissi? I dipendenti? Le forniture? Tanti tantissimi i punti di domanda. Nel frattempo capiamo cosa si potrà fare da oggi.

Le aziende
Le aziende strategiche, industriali e produttive, che esportano all’estero e rischiano di perdere altre quote di mercato, possono riaprire presentando un’autocertificazione e passando al vaglio dei prefetti.

I cantieri
Riparte anche l’edilizia carceraria, scolastica e per il contrasto del dissesto idrogeologico.

Che cosa si può fare dal 4 maggio 2020

Spostamenti
Saranno consentiti «solo gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità o per motivi di salute» ma si «considerano necessari gli spostamenti per incontrare congiunti purché venga rispettato il divieto di assembramento e il distanziamento e vengano utilizzate le mascherine». E dunque ci si potrà muovere all’interno della propria Regione di residenza ma soltanto per questi motivi. Per andare in un’altra Regione bisognerà invece avere «comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute».

Visite ai parenti
La novità è la possibilità di spostarsi per visite «mirate» ai congiunti e qui il presidente del Consiglio Conte fa riferimento alle «famiglie che sono state separate dal lockdown: genitori e figli, nonni e nipoti». Ma il divieto di assembramento rimane e gli incontri devono avvenire sempre «nel rispetto delle distanze e con le mascherine».

Autocertificazione
Il modulo cartaceo con nome, cognome, indirizzo e destinazione dello spostamento è stato uno dei temi più dibattuti da ministri e scienziati. Alla fine, poche ore prima della conferenza stampa del premier, la linea del rigore ha vinto. L’autocertificazione resta per almeno due settimane. La scelta è motivata dal timore che gli italiani percepiscano l’allentamento delle misure come il ritorno alla vita di prima, uno stato d’animo che potrebbe ripercuotersi drammaticamente sulla curva dei contagi. «L’autocertificazione è fondamentale», si è battuto il ministro della Salute, Roberto Speranza. In sostanza alle tre motivazioni che consentono gli spostamenti (lavoro, salute, stato di necessità) se ne aggiunge una quarta: incontro con i congiunti.

Dispositivi di protezione
Nei luoghi chiusi la mascherina diventa obbligatoria. E quindi dentro i negozi, negli uffici, nelle fabbriche, sugli autobus, sulla metropolitana, nei treni e a bordo degli aerei bisognerà coprirsi naso e bocca. Il tema è stato uno dei più dibattuti, per le difficoltà di approvvigionamento e per i costi. Finché ieri, durante la riunione della cabina di regia, si è trovato un accordo anche con Regioni e Comuni e si è deciso di emanare una circolare per fissa il prezzo massimo delle mascherine chirurgiche, così da evitare abusi e speculazioni di mercato.

Parchi e sport all’aperto
Un altro pezzetto di libertà riconquistata è la possibilità di passeggiare anche lontano dalla propria abitazione, purché a distanza dagli altri. Parchi, ville e giardini pubblici riapriranno su tutto il territorio nazionale, ma gli ingressi nelle aree riservate ai bambini potranno essere «contingentati», e i sindaci potranno attuare restrizioni, sempre seguendo la curva dei contagi. Le forze dell’ordine controlleranno il rispetto delle norme. Sarà possibile fare jogging, praticare sport all’aperto e riprendere gli allenamenti individuali. La distanza di sicurezza sarà di minimo due metri anche per gli atleti professionisti, che però dovranno allenarsi da soli.

Mare e montagna
Si potrà andare al mare per nuotare e fare passeggiate in montagna: attività motorie da soli o al massimo in due, ma non ci si potrà trasferire nelle seconde case.

Messe e funerali
La Chiesa da settimane prova a convincere il governo a far celebrare la Santa messa, ma per gli scienziati è ancora troppo rischioso. Sul fronte delle cerimonie religiose si potranno soltanto celebrare i funerali, purché alla funzione non prendano parte più di quindici persone con mascherine e rimanendo a distanza. Le persone ammesse alla funzioni dovranno essere soltanto i familiari più stretti.

Cibo da asporto
Bar e ristoranti rimangono chiusi ma sarà possibile acquistare cibo da asporto «da consumare a casa o in ufficio» e non rimanendo davanti ai locali.

Aziende
Si rimettono in moto le industrie manifatturiere, le costruzioni e il commercio all’ingrosso relativo a queste filiere.

Ristrutturazioni private
Anche i cantieri privati potranno riprendere a lavorare, perché l’Inail stima che il settore presenta un indice di rischio tra i più bassi. In tutte le riunioni il premier ha raccomandato il rispetto rigoroso dei protocolli di sicurezza.

Che cosa si può fare dal 18 maggio 2020

Negozi
Potranno riaprire i negozi di abbigliamento e di calzature, le gioiellerie e tutti gli altri esercizi commerciali di vendita al dettaglio rispettando le regole sugli ingressi contingentati, il distanziamento di un metro e l’uso delle mascherine.

Mostre e musei
Gli scienziati hanno chiesto al governo grandissima cautela sulla riapertura dei luoghi di aggregazione. Cinema, teatri e sale da concerto resteranno chiuse, come i pub e le discoteche. «Sono sospese le manifestazioni organizzate, gli eventi e gli spettacoli con la presenza di pubblico», non è possibile organizzare feste pubbliche e private, anche nelle case. Riaprono invece i musei e si potranno visitare le mostre a ingressi contingentati, rispettando le distanze e indossando le mascherine.

Allenamenti di squadra
Gli atleti che praticano sport di squadra potranno tornare ad allenarsi sempre mantenendo le distanze.

Che cosa si può fare dall’1 giugno 2020

Bar e ristoranti
Dopo la lunga attesa potranno riaprire bar, ristoranti, pasticcerie, gelaterie. In base all’ampiezza dei locali e agli spazi disponibili i ristoranti perderanno la metà dei posti a sedere a causa delle regole di distanziamento: due metri tra un tavolo e l’altro. I camerieri indosseranno guanti e mascherine.

Estetiste e parrucchieri
Si potrà andare su appuntamento perché bisognerà rispettare il rapporto di un lavoratore per un cliente. Poiché non è possibile mantenere la distanza, entrambi dovranno indossare la mascherina e i guanti.

Che cosa si può fare il 17 giugno 2020

Esame di maturità
I ragazzi potranno rientrare a scuola e sostenere l’esame di maturità.

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Come si rimetterà in piedi la Ristorazione italiana? Come reagirà? E come ottimizzerà le tante possibilità di una crisi che, letta al contrario, potrebbe essere un’occasione più unica che rara per cambiare il mondo in meglio recuperando i valori tradizionali e di stagionalità in cucina come nella vita? Cosa dicono, cosa ne pensano i nostri Chef, Pizzaioli, Ristoratori, Imprenditori, Produttori, Albergatori, Psicologi e Giornalisti? Ogni settimana rispondono i Protagonisti e gli Intellettuali del Settore sul tema “Ristorazione e Futuro”.

L’Italia ha bisogno di guardare avanti, di avere risposte chiare e di rimettersi in moto il prima possibile. Tornare a lavorare è una necessità primaria che dovrà tenere necessariamente conto delle nuove disposizioni di legge dovute alle attuali circostanze di contenimento di questa prima post emergenza.

Alla luce dei cambiamenti e degli stravolgimenti, è davvero possibile riprogettare la riapertura delle attività commerciali, ristorative e turistiche, tenendo conto delle misure di sicurezza e distanziamento sociale? Le diverse soluzioni – pratiche ed ingegnose quanto discutibili – tra cui le barriere di plexiglass tra i commensali, saranno sufficienti a garantire la sicurezza della clientela, a garantire la serenità degli ospiti, senza però dover rinunciare ai coperti a fronte dei tanti costi fissi?

Come si andrà quindi a riconfigurare l’enogastronomia italiana e il turismo? Come reagirà il mondo gourmet? Come cambieranno i consumi, la percezione del benessere, i comportamenti e le tendenze dei cittadini italiani contesi tra la voglia di riprendersi la propria vita e le capacità economiche decisamente modificate dal contesto?

Gino Sorbillo, PizzaChef e Imprenditore – Antica Pizza fritta Zia Esterina, Sorbillo Lievito a madre a mare, Pizzeria Gino Sorbillo, Napoli, Milano, New York

I consumi cambieranno perchè sicuramente ci sarà un ridimensionamento sia della domanda sia dell’offerta. Si tornerà alla pizza tradizionale, alla cucina tradizionale, non ci sarà la possibilità, almeno per i primi tempi, di andare per il sottile, anche gli chef forse dovranno fare un passo indietro, proponendo una cucina più accessibile, anche dal punto di vista economico.Il mondo guormet di sicuro diventerà più tradizionale, con una rivisitazione delle proposte, più identitario e semplice da percepire. 

Le persone si concederanno qualche coccola, ma molto meno rispetto al passato. Ci saranno restrizioni, la frequentazione dei locali. Le persone saranno più attente, più scrupolose, più oculate nelle loro scelte, cercando comunque di riprendersi la propria vita, stando attenti alle spese superflue. 

L’enogastronomia si andrà riconfigurare verso una maggiore semplicità, saranno più importanti i rapporti umani, le produzioni locali, meno viaggi, meno spostamenti e forse le persone riscopriranno luoghi e sapori della propria terra che fino a poco tempo fa snobbavano, perchè resiste sempre quella “cattiva abitudine” di credere che il meglio sia lontano da noi.

Questa condizione rimane comunque uno shock, molti usciranno con le ossa rotte. Noi stavamo vivendo un momento d’oro. Ognuno di noi stava esprimendo una cucina e una pizza di territorio, concetti diversi ma tutti importanti. Questa pausa ci ha dato modo di riflettere un pò di più. Ma secondo me servirà a tutti e tutti torneremo più forti di prima. 

Barriere di Plexiglass? Se dovessero imporle le accetteremo e le abbelliremo, di certo perderemo coperti, ma non dobbiamo farne un dramma, se serve alla salute di tutti, va bene così.

Angelo Troiani, Chef Patron – Il Convivio Troiani, Roma – 1 Stella Michelin

Quanto sarebbe bello se potessimo risolvere con il plexiglas o con il box o forse suggerirei ancor meglio con una libertà graduale dove oggi escono i mancini e i biondi e domani i destri di ed i mori … così da prevenire gli assembramenti già dall’ascensore o dal garage.
Purtroppo credo che se la questione la vediamo così continuiamo a giocare a rosso o nero e a bluffare spudoratamente con noi e con il tempo che può essere tiranno o Galantuomo a secondo di come vogliamo vederlo.


Per la sanità, ad esempio, il tempo è galantuomo, ovvero più aspettiamo e più siamo assicurati che il virus venga debellato, così non corriamo il rischio di rivivere il dramma umano ed economico di un mese fa, mentre per il sistema produttivo il tempo è tiranno perché ogni giorno che passa il conto da pagare cresce.

Sino ad ora se tutto questo fosse un gioco virtuale (ma non lo è) abbiamo bluffato spudoratamente, perché le mascherine non servivano ( perché non c erano ) ed oggi sono l’unica cura efficace, oppure il contagio passava attraverso chi faceva sport (come se fossero impollinati ) mentre solo poi scopriamo che gli operatori sanitari, i dottori, i medici, e gli infermieri sono stati i maggiori fuochisti pagando con la loro vita un conto amarissimo, anche perché non c erano tamponi disponibili.

Ora è la mano della vita economica e stiamo per “ribluffare” spudoratamente con carte false. Se Apriamo le aziende con pexiglass e distanziatori, orari brevi e quindi con una capacità produttiva dimezzata (volendo essere ottimisti ), con costi ed oneri che rimangono invariati e quindi, in sostanza, raddoppiati (almeno sicuramente quelli fissi), porteranno le aziende a produrre solo maggiori indebitamenti per poi, inevitabilmente, far sopperire una buona parte delle realtà ristorative e mettendo per strada milioni di disoccupati.

Solo poi, guardandosi indietro, si capirà che questa scelta è stata fatta diffondere una responsabilità collettiva e non per risolvere la situazione al meglio, altrimenti si discuterebbe, ad esempio, di come far partecipare economicamente l’intero apparato statale e publico, e non lasciare “la patata bollente” unicamente in mano all’imprenditoria privata .
Tradotto taglio degli stipendi x finanziare L imprenditoria privata

Dove voglio arrivare? È che se non vogliamo continuare a bluffare, l’Italia dovremo reggerla e finanziarla un po’ tutti, sino al giorno in cui potremo davvero tutti uscire di casa e tornare tutti a lavorare duramente, così come siamo abituati per far girare una economia seppur povera ma REALE!
Altrimenti è come pescare il cerino più corto.

Oggi è toccato a noi ma visto che siamo noi che sosteniamo davvero lo Stato e la finanza italiana con le tasse, saremo solo i primi della lista lista.

Pietro Parisi, Executive Chef – Le Cose Buone di Nannina, San Gennaro Vesuviano (NA)

Credo che questo momento sia il peggiore che l’Italia abbia affrontato dal 1920. Ovviamente ritornerà quel benessere e quella normalità che avevamo conosciuto, ma fino a che non avremo certezza di essere al sicuro la gente si muoverà con diffidenza. Io penso che in questo momento mette a dura prova la nostra creatività, ma dobbiamo trovare nuove forme ed offerte di ristorazione. 

Il mondo gourmet credo che sia quello che subirà più colpi, proprio essendo luoghi per esperienze totali, uniche ed impegnative a livello economico che non trova appeal tra plexiglass e distanze sociali. Tornare a lavoro sarà dura per tutti e i costi fissi saranno da ridurre. Bisogna dimenticarsi dove eravamo arrivati, ripartire da capo, sporcarsi nuovamente il grembiule. Non è più il momento delle prime donne, è il momento di tornare in cucina. 

Il Delivery? In Campania ne stiamo parlando tanto. Credo che vada fatto, così come è importante tornare ad una cucina semplice, ma fatta di grandi emozioni.Una cosa che mi ha molto colpito di questo momento storico è anche la riflessione su me stesso,che avevo raggiunto i miei obiettivi e la mia posizione. Sto ripartendo da zero, con la trattoria, la pizzeria, così come ero partito 15 anni fa. Ma la cosa non mi rattrista, anzi. Nella vita non bisogna mai fermarsi, bisogna ripartire e mettere in campo le proprie forze e capacità.

Marco D’Amore, Ristoratore – Ristorante D’Amore, Capri (NA)

La stagione turistica è sicuramente compromessa, soprattutto per le attività stagionali come quelle che operano a Capri. L’isola, più di altre destinazioni, soffrirà, in quanto la percentuale di turisti straniera supera in genere il 70%, e più della metà proviene dagli Stati Uniti, che sicuramente non verrà prima del 2021.

Senza pensare al disastro umano che non ci farà stare insieme ad amici e propri cari, per cui ci sarà un problema economico ma soprattutto sociale su tutto il territorio. Molto probabilmente alcune attività non apriranno, altre invece opteranno per iniziare con uno staff ridotto con fortissime ripercussioni per il tessuto sociale attraverso l’incremento della disoccupazione. Importante sarà capire le limitazioni che saranno attuate. Infatti  se saranno  eccessivamente restrittive, la possibilità di rendere le strutture economicamente autosufficienti saranno minime e per questo molti ristoranti non rischieranno con l’apertura: perché se i posti a sedere saranno ridotti di due terzi, se i camerieri saranno vestiti come gli agenti del R.I.S., se fra un commensale e l’altro ci saranno metri di distanza,  sarà dura. Infatti  bisogna provare a tutelare in qualche modo la convivialità della cena e la leggerezza della serata fuori casa, altrimenti penso sia difficile che a qualcuno possa venire voglia di andare a cena fuori in condizioni del genere. Al ristorante non si va per riempirsi la pancia!

Quindi  molto dipenderà dall’evolversi del virus e dai disciplinari che dovremmo attuare in materia di sicurezza sanitaria. Già noi ci stiamo muovendo  per quanto concerne la sicurezza analizzando le varie opzioni di sanificazione e capendo quali sono le varie possibilità per il nostro settore nel rispetto dell’HACCP. Cambierà anche l’allestimento della sala: oltre a seguire il distanziamento sociale ci vorrà una forte attenzione a ridisegnare la  “mise en place” per dare quanta più sicurezza all’ospite. Sperimenteremo sicuramente l’asporto e il “food delivery”, in modo da soddisfare quel segmento di clientela che privilegerà la tranquillità della propria casa ma con un menu diverso, più divertente invece della propria cucina domestica. Infatti immagino che ci sarà anche voglia di provare delle pietanze particolari  dopo mesi di cucina casalinga.

I punti di forza saranno sicuramente: comunicare la sicurezza con una sanificazione professionale, seria e  costante degli ambienti, delle attrezzature e degli utensili, oltre a procedure trasparenti nella manipolazione dei cibi; ritornare ad utilizzare i prodotti del territorio e sperimentare nel rispetto della tradizione.

Antonio Ziantoni, Chef Patron – Zia Restaurant, Roma

Ci siamo trovati All’inizio un po’ spaesati, poi ti assale la consapevolezza di dovere affrontare le cose andando a fondo, cercando di prevedere scenari futuri che abbiano un minimo di tangibilità.

Ci saranno dei cambiamenti è inevitabile ma l’importante è rimanere lucidi la nostra offerta rimarrà la stessa anzi cercheremo di fare meglio.

Credo che probabilmente ci sarà un periodo più o meno lungo di assestamento, dovremo concentrarci sulle reali esigenze del cliente in questo momento storico, sempre con l’attenzione a non perdere la propria identità.

Ruggero Andrisano Ruggieri, Docente di Psicologia dell’Università di Salerno, Presidente dell’Associazione e Coordinatore del Corso di Cucina “Cuoco Contadino”

Io credo che bisogna immaginare due fasi, una di “convivenza” con il virus, l’altra di “assenza”, alla luce di un vaccino efficace che metta tutti in sicurezza, e lì bisognerà vedere cosa sarà rimasto del nostro vecchio modo di vivere.

Questa fase attuale molto delicata di “convivenza”, che non sappiamo quanto durerà, reimposta le coordinate della ristorazione. E questo vuol dire che tutte quelle piccole realtà di quartiere dove diventa impossibile garantire le distanze di sicurezza – penso alle mini cucine, alle micro situazioni – avranno grandi difficoltà a mettere in pratica le norme igienico-santarie.

Anche la ristorazione dei grandi numeri avrà problemi, lì dove la tenuta del business si gioca sul numero di coperti e il numero dei giri del tavolo stesso, mentre il distanziamento sociale dimezzerà la capacità di accoglienza. L’altro aspetto che cambia è legato al servizio, stiamo infatti assistendo al fenomeno del Delivery. Quindi la ristorazione andrà ripensata tutta.

Io credo che ci saranno due possibilità, una alla “bimby”, tipo self service, con un sistema automatizzato dove gli chef non esistono e il tuo piatto esce già pronto senza che ci sia intercessione umana, così come stavano già sperimentando in Germania e Stati Uniti per le grandi catene;

come contraltare invece, una micro ristorazione basata sulla conduzione familiare, anche perchè il nucleo familiare rimane l’unico nucleo dove il distanziamento sociale non esiste. Quindi il Family Business rimarrà l’unica ristorazione operativa possibile, oltre al fenomeno degli “chef a domicilio”.

Avremo poi il problema delle forniture e della stagionalità. Importiamo tanto, ci hanno abituato ad avere tutto, per esempio le patate tutto l’anno, le melanzane, le zucchine, la carne dall’Argentina, le verdure dall’Egitto, la frutta dalla Spagna e via dicendo: anche l’offera del cibo cambierà, i confini chiusi ridisegneranno le importazioni da tutte quei Paesi in cui la diffusione del virus è controllata da sistemi sanitari che non sono molto forti.

Quindi stagionalità, italianità e conduzione familiare nell’offerta ristorativa, perchè dovremo abituarci all’idea di fare i conti con i limiti, di tutte le tipologie.

Giuseppe Garozzo Zannini Quirini, Sommelier e giornalista enogastronomico – James Magazine, Agrodolce

Queste ultime settimane hanno lasciato un segno estremamente profondo nella vita della ristorazione di questo Paese. L’incertezza e la lunga e forzata chiusura degli esercizi hanno messo in grandissima difficoltà uno dei settori dell’imprenditoria italiana che meglio racconta della capacità del nostro popolo di creare, evolvere, di saper affrontare dinamiche sempre nuove.

Ed è proprio attraverso questo innato spirito di “sapersi arrangiare” che molti hanno elaborato nuove strategie, dal delivery alle cooking class interattive, dai menù pronti per le festività alle video ricette anche in diretta streaming. Ma tutto questo serve a poco se non si troveranno soluzioni capaci di sopportare i profondi mutamenti che seguiranno la pandemia.

I locali si dovranno attrezzare per rispondere alle rigide imposizioni normative. Questo comporterà un aumento dei costi, una sensibile diminuzione degli spazi d’accoglienza e una complessa modalità di gestione del personale ante crisi.

Probabilmente tali difficoltà saranno meno cogenti per i grandi stellati o per quei locali cosiddetti “gourmet” che già avevano orientato il proprio stile verso una qualità dell’offerta sempre maggiore, a tutto tondo.

Sono moltissime le idee che sento circolare in questi giorni, tutte valide o comunque percorribili, ma estremamente legate, a mio avviso, a una serietà e a un senso di responsabilità che dovrà necessariamente crescere all’interno del settore soprattutto sotto l’aspetto dell’accoglienza.

Ahimè (e l’ho sempre detto) dovremo lasciare definitivamente quell’approssimazione tipica del passato per trovare nella formazione del personale, nella qualità del cibo e del servizio il quid giusto che potrà bilanciare le difficoltà proiettando il settore verso un futuro migliore e più sereno.

Parola chiave? Qualità sotto ogni sfaccettatura. Sarà assolutamente necessario fare in modo che i tantissimi sacrifici di questi giorni e dei giorni che verranno fino alla soluzione dell’emergenza non si perdano ma risultino solide fondamenta per un nuovo corso. Esorterei i tantissimi, seri, capaci e tenaci imprenditori a non mollare, a non cercare scorciatoie. Conoscono benissimo il sacrificio e da esso potranno tirar fuori nuove e migliori idee. Li esorterei anche a tener conto che nelle loro mani ci sono le vite di tanti uomini, di tante famiglie che meritano rispetto e considerazione. Dall’altra, ovviamente, esorterei i dipendenti, tutti, a rimboccarsi le maniche per costruire insieme ai loro datori di lavoro una nuova offerta, un nuovo modello che si ispiri sempre più alla serietà e alla professionalità. Sta qui secondo me la chiave di svolta. Non snaturiamo la gioia di un buon caffè, la meravigliosa sensazione di rimanere folgorati davanti alla vetrina di una pasticceria o la magia di una sera speciale al ristorante. Facciamo in modo che tutto torni ad essere speciale e che questo momento difficile si trasformi in una opportunità da non perdere. Vorrei tanto che la creativa intelligenza italiana dimostrasse che la nostra ristorazione è fatta di persone veramente speciali!

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L’indagine si è svolta tra martedì 14 aprile a sabato 18 aprile 2020 ed ha coinvolto un campione di 1000 persone. L’obiettivo è stato quello di fotografare il comportamento e i desideri della clientela nei confronti della ristorazione e dei servizi di delivery proiettati nell’attesa Fase2.

Per arginare e combattere il Coronavirus, chiudere al Pubblico Ristoranti, Trattorie, Pizzerie e Bar, è stata una delle prime misure decise per il contenimento dell’epidemia nel nostro Paese. Poi, i tempi si sono dilatati diventando preoccupanti ed insostenibili; e quando è diventato chiaro che i tempi per la riapertura sarebbero stati ancora lunghi, molti locali dedicati alla ristorazione classica hanno deciso di abbracciare, per la prima volta e non senza tentennamenti, il dinamico mondo delle consegne a domicilio, cambiando volto alla ristorazione classica, ripensando offerte gourmet e menu.

Sulla scia di questa rivoluzione (momentanea?) Lavinia Martini e Andrea Di Lorenzo hanno redatto uno studio che fotografa lo stato della ristorazione e del delivery durante l’emergenza Covid-19 perchè, tenendo sempre sottocchio il “fattore imprevedibilità” di un dato mercato, essere comunque in grado di leggere i segnali dell’andamento è un elemento chiave di ogni strategia di Marketing.

L’obiettivo del rapporto è infatti quello di fotografare il comportamento e i desideri della clientela nei confronti della ristorazione e dei servizi di delivery in questo momento. Tramite alcune domande più specifiche, viene richiesto ai clienti come intendono comportarsi durante la fase 2 e nei mesi a seguire, all’indomani della riapertura dei ristoranti.

Questa ricerca è stata redatta sulla base di un questionario di facile esecuzione (tempo di compilazione: 5/10 minuti) accessibile digitalmente con 23 domande, sia a risposta aperta che chiusa, singola e multipla.

DESCRIZIONE DEL CAMPIONE

Il campione preso in esame coinvolge una popolazione statistica di 1000 persone, residenti in Italia, principalmente nel Lazio (è il 65%) e in Lombardia (15%), con una prevalenza di donne (62% contro il 37% degli uomini) e un’età distribuita soprattutto nella fascia 30–39 anni (40%) e 21–29 anni (25%). Questo campione ha dimostrato una buona propensione alla frequentazione di attività di ristorazione anche prima dell’emergenza: il 35% ha dichiarato di andare a pranzo o cena fuori tra le 2 e le 3 volte a settimana, un altro 35% almeno una 1 volta a settimana. Per il 52% del campione la spesa media è compresa tra i 20 e i 35 euro e avviene soprattutto in pizzeria (58%) e in ristoranti di cucina italiana (56%).

LA RISTORAZIONE

Dalle risposte emerge un desiderio impellente di tornare nei ristoranti dopo la fine dell’emergenza. Di fronte alla domanda “Quanto ti manca andare a pranzo/cena fuori?” il 47% del campione risponde “Molto” e il 38% “Abbastanza”. Dell’esperienza di andare a pranzo o cena fuori, i clienti sentono maggiormente la mancanza in termini di “Convivialità” (747 preferenze), a seguire viene il “Cibo”, (377 preferenze) e il “Desiderio di fare nuove esperienze” (349 preferenze).

Nella ricerca è decisiva la risposta alla domanda “Una volta riaperte le attività, tornerai subito a pranzo/cena fuori?”. Il 52% degli intervistati ha risposto “Si”, mentre il 15% ha risposto “No”. Decisivo il 33% degli intervistati che ha risposto “Forse” e che potrebbe orientare, attraverso le sue scelte, l’andamento del mercato ristorativo nei prossimi mesi.

Cosa impedisce ai clienti di tornare nelle attività di ristorazione? Su un totale di 501 risposte, il 53% dei clienti ha “Paura del contagio”. Il 44% dichiara poi di “Avere timore che le attività non rispettino le norme igieniche” che verranno imposte dai futuri decreti. Il 28% afferma di non avere voglia di vivere un’esperienza inficiata dalla presenza di troppi limiti.

Cosa potrebbe incentivare i clienti a tornare nelle attività di ristorazione o a scoprirne di nuove? Gli intervistati affermano di ricercare nei ristoranti la massima attenzione nel rispetto delle norme igieniche (61%) e nella corretta gestione degli spazi e del distanziamento tra tavoli (51%). Anche la previsione di spesa economica può incidere sulla futura esperienza: il 24% degli intervistati afferma di essere incentivato da sconti e promozioni, il 14% dalla revisione dei prezzi più in generale.

Dove sognano di andare a pranzo/cena fuori gli italiani al termine dell’emergenza? Coerentemente con i dati che riguardavano le abitudini prima della pandemia, gli Italiani affermano di volersi recare soprattutto in un ristorante di cucina italiana (24%), in pizzeria (21%) e in ristoranti di cucina internazionale/straniera (14%), una delle cucine che al momento è più difficile replicare all’interno delle mura domestiche. Il 52% degli intervistati afferma di voler frequentare di persona le attività dalle quali attualmente sta ordinando in delivery.

IL DELIVERY

La fetta delle persone che attualmente sta ordinando in delivery è il 57% degli intervistati.

Di questi, il 55% afferma di ordinare meno di 1 volta a settimana e il 36% almeno una volta a settimana. Si distribuisce abbastanza equamente il campione tra quelli che ordinano tramite piattaforma di delivery (36%), direttamente dalle attività dalla quali vogliono acquistare prodotti (36%) oppure tramite entrambi i canali (28%).

Dalle risposte ricevute, il 43% degli intervistati ha conosciuto le attività dalle quali ordina in delivery tramite Social Network, il 35% attraverso le piattaforme di delivery, il 24% tramite i canali ufficiali delle attività, come sito, social etc. Tra le piattaforme di Food delivery, la più utilizzata è Just Eat (la utilizza il 62%), seguita da Deliveroo (38%) e da Glovo (37%).

Il 65% degli intervistati utilizzava il delivery anche prima dell’insorgere dell’emergenza, a fronte del 35% che dichiara di non averlo fatto. Il 74% afferma inoltre che frequentava già le attività dalle quali sta ordinando. Il 59% continuerà ad utilizzare il delivery anche dopo la fine dell’emergenza (con una fetta consistente, il 26%, che afferma di essere in dubbio se continuare o meno).

I cibi più ordinati a domicilio sono pizza (la ordina il 75,5% degli intervistati), cibo straniero (42%), spesa da supermercati/alimentari/box miste (37%), hamburger o panini (36,5%), confermando in parte i consumi dei pasti fuori casa e quelli desiderati alla riapertura delle attività dopo la fine dell’emergenza Covid-19.

COME VORRESTI CHE CAMBIASSE LA RISTORAZIONE DOPO LA FINE DELL’EMERGENZA?

Da questa domanda aperta traiamo alcune considerazioni molto interessanti per comprendere le intenzioni di comportamento dei clienti. Gli intervistati hanno dimostrato una grande reattività alla domanda non obbligatoria, producendo 582 riscontri. Ma cosa chiedono, in sostanza, i clienti ai ristoratori?

  • Massimo rispetto delle norme igieniche (vengono citati: distanziamento dei tavoli, tavoli all’aperto, cucine a vista, obbligo di prenotazione, utilizzo dei dispositivi di sicurezza, pulizia dei bagni, trasparenza, maggior numero di controlli. Nel caso specifico del mancato distanziamento dei tavoli, viene citato come un fattore negativo anche prima dell’emergenza);
  • Che non cambi nulla nell’esperienza ristorativa (un esempio sono risposte come: niente, perché dovrebbe cambiare qualcosa?, normalità, a me va bene com’era, va bene così, etc.);
  • Una revisione dei prezzi, soprattutto in rapporto alla qualità offerta (prezzi ridimensionati, pacchetti sconto, prezzi visibili sul sito web per evitare sorprese, miglior rapporto qualità prezzo);
  • Maggiore attenzione alla qualità dei prodotti e della filiera (prodotti italiani, più materie prime del territorio, connessioni con aziende locali, km0, maggiore scelta anche per nicchie di consumatori, come per intolleranti e vegani);
  • Si richiede poi un’attenzione maggiore alla sostenibilità sia dal punto di vista sociale che ambientale delle aziende ristorative (minore utilizzo della plastica, assenza del lavoro in nero, rispetto dei collaboratori, utilizzo di strategie antispreco, attenzione ai cambiamenti climatici, stagionalità, presenza di donne in cucina);
  • Un allargamento dei servizi di delivery (copertura anche di zone fuori città, creazione di servizi di delivery gestiti direttamente dalle attività, servizi di asporto, consegne a domicilio anche dopo la fine dell’emergenza).

CONSIDERAZIONI GENERALI

1) La fetta di clienti decisamente sfavorevole al ritorno nei ristoranti si aggira intorno al 15%. Ampia invece quella che testimonia un desiderio di ritorno alla convivialità (52%), ma che allo stesso tempo ha timore che il ristorante possa rivelarsi un luogo preposto a veicolare il contagio. Sugli incerti si gioca moltissimo la sorte delle attività nei mesi a venire. Sono il 33%. Se infatti si spostassero sul sì, si otterrebbe una percentuale determinante di avventori, mentre se si posizionassero sul no, la clientela verrebbe ridotta in modo drastico. Fattori di spostamento potrebbero essere l’aumento dei contagi o la loro diminuzione, oltre all’adempimento, da parte delle attività, delle norme sanitarie che verranno emanate.

2) I clienti richiedono ai ristoratori grande trasparenza nel rispetto delle future normative, come il distanziamento tra i tavoli oppure la presenza di cartelli informativi, più in generale l’osservanza delle norme igieniche (61%). E’ possibile ritenere che riusciranno a reagire meglio alla fase di riapertura le attività che si adegueranno più velocemente ai cambiamenti. Nonché quelle che per gestione delle risorse e degli spazi possono garantire minore promiscuità, come attività all’aperto o attività che prevedono ampio spazio tra una seduta e l’altra. In contrasto il dato sugli ordini in delivery: in questo caso il cliente non può osservare o testimoniare che le norme igieniche siano rispettate in modo puntuale. Tuttavia il pubblico che ordina è una fetta molto considerevole.

3) I clienti che dichiarano di essere trattenuti dalla paura del contagio sono il 53%. Questo testimonia che i ristoranti vengono considerati un luogo dove il contagio è altamente probabile. Diverso è se avessimo richiesto al campione cosa li tratterrà dall’andare a fare una passeggiata con il cane o una vacanza all’aria aperta. Allo stesso modo, quello che manca di più dell’esperienza ristorativa è proprio la convivialità (lo dice il 73%), uno degli elementi sui quali si dovrà intervenire maggiormente proprio per evitare i contagi.

4) Le risposte che riguardano l’utilizzo del delivery sono coerenti con i dati già noti su questo mercato. Il 57% afferma di ordinare prodotti con consegna a domicilio. Si confermano quindi i dati di crescita già evidenziati da altri studi: quello di Altroconsumo (1) che afferma che su un campione di intervistati, il 49% ha ordinato in 3 mesi tra le 2 e le 3 volte in delivery; quello dell’Osservatorio di Just Eat (2) che riporta che la pizza è il cibo più ordinato a domicilio; quello dell’ Osservatorio eCommerce B2c del Politecnico di Milano e di Netcomm (3) che testimonia che il Food Delivery nel 2019 è cresciuto fino ad arrivare ad un fatturato di 556 milioni di euro, superando quello del 2018 del 56%; quello della Fipe del 2019 (4) che testimoniava che il 30% degli italiani ordina cibo in delivery; quello di Glovo (5) in cui si testimonia una crescita di ordini del 247% nel 2019 sul 2018. In buona sostanza, chi ritiene che il Delivery sia una moda passeggera o una trovata dell’ultima ora, lo afferma senza nessuna consapevolezza dei dati, che dimostrano un uso già estremamente radicato nei clienti italiani dello strumento, in rapidissima crescita e destinato a trovare ancora maggior peso nelle abitudini quotidiane, anche in seguito all’emergenza Covid-19. Inoltre, i clienti dichiarano di essere propensi a frequentare di persona gli stessi ristoranti dai quali ordinano in delivery, sintomo del fatto che le attività ristorative che consegnano oggi stanno anche fidelizzando il loro pubblico per il domani.

5) Le abitudini di scelta dei clienti rimangono piuttosto simili prima, durante e dopo l’emergenza. Tra i ristoranti più citati per andare a pranzo/cena fuori prima dell’emergenza ci sono sia i ristoranti di cucina italiana che le pizzerie. Ugualmente si esprimono i clienti sulle attività che vorranno frequentare dopo la fine dell’emergenza. Per quanto riguarda il delivery, al primo posto tra i cibi ordinati c’è proprio la pizza.

6) L’utilizzo massiccio di app delle piattaforme di delivery, quello dei social network per conoscere le attività da cui stanno ordinando i clienti insieme ai loro canali ufficiali (principalmente digitali, quindi sito e social), testimonia una forte esigenza delle attività di farsi conoscere attraverso l’uso consapevole degli strumenti di comunicazione. In mancanza della possibilità di acquisto d’impulso e attività di passaggio, il cliente si affida ai messaggi veicolati dalle attività per entrarvi in contatto. Così la digitalizzazione delle attività, se fatta in modo corretto, può essere uno degli elementi chiave della ripresa, nonché strumento per comunicare in modo puntuale l’adeguamento alle nuove norme sanitarie che i clienti ricercano con tanta insistenza.

Nota per la lettura dell’indagine: la ricerca ha l’obiettivo di registrare non solo dati di tipo quantitativo ma anche il sentimento dei clienti nei confronti di uno specifico settore. L’approccio seguito è quello scientifico (trasparenza, riproducibilità, massima accessibilità delle informazioni), tuttavia i dati riportati non hanno semplicemente valore numerico ma hanno anche lo scopo di evidenziare gli aspetti psicologici ed emotivi del campione rispetto a domande che prevedono più risposte. Per una maggiore affidabilità dei risultati, gli autori hanno cercato di rivolgere il questionario solo ai potenziali clienti, escludendo gli imprenditori della ristorazione, che avrebbero potuto inquinare il risultato fornendo delle risposte non oggettive.

SITOGRAFIA

  1. https://www.altroconsumo.it/organizzazione/media-e-press/comunicati/2019/inchiesta-food-delivery
  2. https://www.justeat.it/esplora/osservatorio2019
  3. https://www.osservatori.net/it_it/osservatori/comunicati-stampa/food-grocery-online-crescita-valore-2019
  4. https://www.fipe.it/comunicazione/note-per-la-stampa/item/6166-ristorazione-rapporto-annuale.html
  5. https://www.foodserviceweb.it/2020/02/04/glovo-delivery-report-2019-boom-di-consegne-a-domicilio/
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Arriva il piano nazionale per le riaperture. La Fase 2 sarà operativa dal 4 maggio con mascherine e distanze fino all’atteso vaccino. E sarà una fase delicatissima, perché se verranno commessi errori grossolani, saremo al punto di partenza. Per la ristorazione invece, ancora nessuna nuova, solo tanto Delivery.

Un piano nazionale che tiene presente delle peculiarità regionali: così il Premier Conte ha illustrato le prime ipotesi che potrebbero fissare le nuove coordinate delle linee guida da seguire per affrontare e superare anche la famosa Fase 2, che prenderà il via lunedì 4 maggio.

Il Premier ha parlato di “una riorganizzazione delle modalità di espletamento delle prestazioni lavorative, un ripensamento delle modalità di trasporto, nuove regole per le attività commerciali”.

Inevitabile per ripartire, ma cosa si potrà fare concretamente? Il ministro della Salute Roberto Speranza ha spiegato che il Governo sta lavorando perché il 4 maggio “i cittadini possano uscire, sempre che i dati lo consentiranno”.

Per la Ristorazione nulla di nuovo, se non per il Delivery e Consegne a domicilio che non sono sufficienti ad evitare la crisi del settore, che tra l’altro rischia di essere una delle ultime attività a poter ripartire.

Per questo, dopo il primo appello del 2 aprile, il comparto dell’imprenditoria enogastronomica si è nuovamente mobilitato, chiedendo una serie di provvedimenti (ne abbiamo parlato qui)

Queste azioni sono necessarie nella consapevolezza della centralità che il turismo enogastronomico, l’artigianalità e l’ospitalità rappresentano – sottolineano gli esponenti del comparto – una leva strategica per il rilancio economico del Paese e il principale strumento di valorizzazione del Made in Italy“; appello che però sembra non sia stato ascoltato.

Cosa succederà invece dal 4 Maggio?

Uso di guanti e mascherine

Ogni volta che usciremo di casa, molto probabilmente, dovremo indossare guanti e mascherine, anche se andremo a far visita ai parenti.

Le mascherine e il distanziamento sociale contro l’infezione da Covid sono due misure che dovremo mantenere fino a quando non ci sarà il vaccino da Coronavirus, ha detto il Premier Giuseppe Conte nella sua informativa al Senato.

Distanza di sicurezza

Per quanto riguarda la distanza di sicurezza, regna ancora il caos. Qualcuno nel Governo, così come nella comunità scientifica, parla di 1 metro sufficiente tra una persona e l’altra per evitare il contagio. Altri parlano di 1,80 metri, altri ancora di 2 metri. In alcuni casi particolari, come negli spazi chiusi in cui c’è il rischio di affollamento, la distanza però potrebbe essere ampliata.

Spostamenti e uscite di casa

Molto probabilmente dal 4 maggio si potrà di nuovo uscire di casa anche senza comprovate esigenze lavorative o di salute. Quindi potremo spostarci per fare una passeggiata, ad esempio, o per andare a fare visita ad un parente, o qualche attività sportiva tipo il jogging o la bicicletta.

La passeggiata probabilmente si potrà fare anche lontano da casa, sempre da soli o in compagnia di una sola altra persona. Tutto questo sempre con grande attenzione al mantenimento delle distanze di sicurezza.

Spostamenti da un Comune all’altro

Spostarsi da un Comune all’altro, e da Regione a Regione, sarà di nuovo permesso, anche se forse non da subito. È auspicabile che la curva dei contagi continui a scendere prima di riaprire tutto e favorire il turismo in prospettiva della stagione estiva.

Riapertura dei negozi

Si ipotizzano riaperture e allentamenti delle restrizioni, ma in base alle fasce d’età. Probabilmente chi ha oltre 70 anni o ha patologie dovrà aver a che fare con specifiche restrizioni. Ci saranno ingressi scaglionati e contingentati per entrare nei negozi.

Per alimentari e supermercati, sulla questione orari è ancora tutto da decidere. L’Esecutivo guidato da Conte starebbe valutando sia l’ipotesi di una riduzione dell’orario di apertura per impedire le uscite in tarda serata, ma anche il suo contrario, cioè un’estensione degli orari proprio per diluire le code.

Bar e ristoranti

Per quanto riguarda bar e ristoranti l’attesa potrebbe essere più lunga: la priorità oggi è mettere i locali in sicurezza. Quando saranno garantiti dispositivi di protezione al personale di bar e ristoranti, sarà garantita la distanza di sicurezza tra i clienti (ad esempio con l’installazione di paratie e divisori tra i tavoli, ne abbiamo parlato qui) si procederà con la riapertura.

Intanto, bar e ristoranti potrebbero riprendere tutti la propria attività organizzandosi come molti hanno già fatto in questa fase per consegnare il cibo a casa. Sono già tantissime le attività, anche piccole, che hanno abbracciato il food delivery per non essere costrette a chiudere del tutto.

Parchi e scuole

L’orientamento del Governo riguardo ai bambini sarebbe di allentare “un po’” sulle uscite. Forse i più piccoli si potranno portare al parco? Per ora tutto tace. E, ancora una volta, l’attenzione ai bambini e alle loro famiglie viene messa da parte.

Riguardo alla scuola, quasi impossibile immaginare di mandare bambini e ragazzi in classe prima di settembre, ma nel caso la ministra per le Pari Opportunità Bonetti ha anticipato che “probabilmente sarà necessario per i bambini indossare guanti e mascherine”.

La titolare del ministero per le Pari Opportunità e la Famiglia si dice comunque favorevole al ritorno a scuola il più possibile anticipato e comunque sempre in sicurezza, ha aggiunto che “se servono le mascherine ci devono essere”.

Palestre e centri fitness

Le palestre potrebbero dover rimanere chiuse, almeno in un primo momento: nessuna data per le riaperture è stata ipotizzata. Per le palestre è probabile vengano introdotte misure più severe, come la continua pulizia e la sanificazione delle attrezzature e delle aree comuni, oltre al distanziamento di un metro, l’uso di mascherine e di guanti e il divieto delle attività e delle lezioni di gruppo.

Parrucchieri e estetiste

Anche qui nulla ancora si sa sulle date di apertura, ma sicuramente per parrucchieri e estetiste sarebbe obbligatorio il rispetto di misure simili a quelle per le palestre: dovranno garantire la sanificazione degli ambienti e la sterilizzazione degli strumenti.

Spiagge

Che estate sarà? Difficile dirlo. Benché siano diversi gli stabilimenti balneari in tutto lo Stivale che provano a immaginarsi soluzioni per il distanziamento sociale, come le paratie in plexiglas o zone delineate e separate, non sappiamo se nella Fase 2 che coinciderà con l’estate potremo andare al mare o comunque in vacanza.

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26 realtà e più di 34.000 associati tra chef, cuochi, ristoratori, pizzaioli, panificatori, pasticceri, cioccolatieri, gelatieri e responsabili di sala. Tutti insieme lanciano un SOS al Governo e alle Istituzioni presentando otto proposte per la ripartenza nella cosiddetta “fase 2”.

Molta la preoccupazione, tante le parole, ancora troppo pochi i fatti. La Ristorazione e la Produzione Enogastronomica italiana (che tanto hanno contribuito all’Italia stessa rendendola fiera nel mondo) hanno ora concreto bisogno di essere ascoltate, tutelate, sostenute e messe in condizioni favorevoli per ripartire.

Il tempo stringe. A firmare il nuovo appello rivolto al Governo, al quale viene richiesta l’adozione immediata di otto misure essenziali per la sopravvivenza e la ripartenza dei comparti di settore, sono 26 Associazioni che operano e rappresentano la migliore accoglienza, produzione, incentivo al turismo e alla divulgazione dell’identità culturale enogastronomica italiana.

In ordine alfabetico: Adg, Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto; Aig, Associazione Italiana Gelatieri; Ampi, Accademia Maestri Pasticceri Italiani; Apar Associazione Provinciale Pasticceri Artigiani Reggini; Apci, Associazione Professionale Cuochi Italiani; Apga, Associazione Pasticceri Gelatieri Artigiani; Apn Associazione Pizzaiuoli Napoletani; Apt, Associazione Pizza Tramonti; Associazione Ristoranti Follonica; CHIC, Charming Italian Chef; Cibo di Mezzo; Compagnia Gelatieri; Conpait, Confederazione Pasticceri italiani; Conpait Gelato; Consorzio Parma Quality Restaurants; Eppci, Eccellenza Professionale Pasticceria Cioccolateria Italiana; Fic, Federazione Italiana Cuochi; Gelatieri per il Gelato; Imprendisud Gruppo Ristorazione; Jre, Jeunes Restaurateurs Italia; Le Soste di Ulisse; Ri.Un., Ristoratori Uniti; Ristoranti del Buongusto; Ristoratori del Sannio e alto Casertano; Ristoratori Emilia Romagna; Unione Ristoranti del Buon Ricordo.

Le otto richieste sono le seguenti:

1. Cancellazione delle imposte nazionali e locali pertinenti (a titolo indicativo e non esaustivo Tari, Imu, affissione, occupazione suolo pubblico, etc.), credito per utenze relative alle attività commerciali; rateizzazione dei pagamenti degli acconti Ires, Irap previste a giugno e senza interessi;

2. Proroga della cassa integrazione straordinaria per il personale in forza al 23.02.2020 e fino al 31.12.2020;

3. Sospensione di leasing, mutui e noleggio operativi fino al 31.12.2020, recupero delle mensilità congelate in coda al periodo previsto dalla relativa misura posta in essere;

4. Armonizzazione da parte dello Stato delle regole per l’accesso al credito;

5. Credito d’imposta al 60% riconosciuto al proprietario fino al 31.12.2020 con 40% dell’importo a carico del locatario e misura semplificata (cedolare secca);

6. Detassazione (straordinari) sulle risorse umane in organico, detassazione degli oneri contributivi e assistenziali e dei benefits sino al 30 giugno 2021;

7. Possibilità estesa a tutto il comparto ristorazione di effettuare l’asporto;

8. Misure di sostegno a fondo perduto, ristori e indennizzi, per il periodo di chiusura obbligatorio imposto per legge dall’emergenza covid-19 (pari al 10% del fatturato in relazione allo stesso periodo di riferimento).

E voi, cosa ne pensate? Cosa aggiungereste?

Fonte: ANSA TERRA&GUSTO // link qui

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L’Italia ha bisogno di guardare avanti, di fissare una meta, un obiettivo, e di rimettersi in moto il prima possibile. Dopo una prima fase di spaesamento si passerà dunque all’azione che dovrà tenere necessariamente conto di abitudini ed esigenze decisamente modificate dalle disposizioni di legge e circostanze attuali.

Come si andrà a riconfigurare l’enogastronomia italiana e il turismo? Come reagirà il mondo gourmet? Come cambieranno i consumi, la percezione del benessere, i comportamenti e le tendenze dei cittadini italiani contesi dalla voglia di riprendersi la propria vita e capacità economiche molto diverse?

E’ davvero possibile riprogettare la riapertura delle attività commerciali, ristorative e turistiche, tenendo conto delle misure di sicurezza con diverse soluzioni, alcune pratiche altre ingegnose quanto discutibili – tra cui box vista mare o barriere di plexiglass tra i commensali – per garantire la sicurezza della clientela senza però dover rinunciare a posti e coperti? Sarebbe meglio ripartire il prima possibile o aspettare tutti settembre?

Come e per quale via la nostra Italia della Ristorazione si rimetterà in piedi? come deciderà di ottimizzare le tante possibilità di una crisi che, letta al contrario, potrebbe essere un’occasione più unica che rara per cambiare il mondo in meglio recuperando valori italiani e tradizionali?

Ogni settimana rispondono i Protagonisti e i Pensatori del Settore sul tema “Ristorazione e Futuro.”

David Ranucci, Oste fondatore – A Casa Tua, Abbottega, Giulio Pane e Olio, Milano – Baiocco, Miami

Penso che sia impossibile imporre una divisione di plexiglass in un luogo che nasce per condividere. Le persone vanno al Bar o Ristorante non solo per mangiare, ma anche per incontrarsi, per aprisi, non per chiudersi.

Noi stiamo portando vanti dei modelli di riapertura tenendo i presente le distanze tra i tavoli e, di conseguenza, questo porterà – purtroppo e inevitabilmente – alla riduzione del personale. Ma appena avremo possibilità, riapriremo. Riaprire è meglio per tutti, anche perchè le persone avranno voglia e bisogno di uscire, ed è importante cominciare a dare segnali alla clientela che “ci siamo”.

Per questo abbiamo studiato tre fasi di apertura graduale: una “conservativa”, una “parziale” e una “a regime”, tenendo sempre presente che siamo ottimisti e sicuri del fatto che nel tempo, anche se molto lentamente, questa condizione assurda si dissolverà e torneremo tutti al ristorante e alle nostre vite così come le ricordiamo.

Davide Del Duca, Executive Chef e Patron – Osteria Fernanda, Roma

Sinceramente credo, e spero, si faccia comunità tra noi e i produttori italiani, perchè sarebbe davvero importante si tornasse a mangiare e scegliere italiano, sia dalla parte dei cittadini, sia tra i ristoratori, che dovrebbero anche menzionare nei menu le aziende da cui si riforniscono per renderle note ai clienti e stimolare un consumo anche privato.

Dopo un periodo di chiusura forzata è ovvio che le persone vorrano riprendere la propria vita, e molte cose saranno un lusso per molti. Soprattuto noi gourmet ne subiremo le conseguenze. Perchè abbiamo sempre gestito attività con costi importanti, per fare in modo che dei piatti arrivino a tavola e vengano serviti bene, quindi tanta materia prima costosa, perchè miriamo sempre al top, e una cura massima nel servizio.

La ristorazione dovrà cambiare, adattarsi. Ma non credo che questo ritorno alla tradizione ci salverà, credo invece che ci salverà il gourmet e la capacità tecnica di creare piatti innovativi ed interessanti. La tradizione non è facile, bisogna saperla fare, bisogna saper cucinare e non la vedo come un rimedio.

Questo tempo di stop, per esempio, mi ha dato possibilità di approfondire le mie conoscenze tecniche applicandole a prodotti più semplici sempre in linea con la mia filosofia di cucina; perchè il cliente dovrà fare i conti con le proprie tasche e dovremo essere noi ristoratori a ridurre i prezzi lavorando materie prime meno costose, senza mai intaccare la qualità.

C’è da dire che la nostra tipologia di ristorazione, quella gourmet, già fa della distanza tra i tavoli una sua caratteristica. I Box per me sono un’assurdità. I locali sono fatti di cibo e di accoglienza. Preferirei aspettare ed essere più sicuri, senza chiuderci in gabbia.

Non ho optato fino ad ora per il delivery anche per la sicurezza del mio personale. Quando ci sarà la possibilità, tenendo conto di tutte le restrizioni previste dalla legge, aprirò con la metà dei coperti, tutti i giorni e con un delivery maniacale applicando ciò che ho studiato e senza licenziare nessuno. Sto appunto studiando una proposta curata nel minimo dettaglio.

Riaprire a settembre sarebbe davvero problematico, nonostante le sovvenzioni, i costi fissi sono troppo alti. Fosse per me opterei per un’apertura graduale e “a regioni”, magari ripartendo da quelle più “gestibili”.

Andrea Mariani, Ristoratore – Susina, Roma

È la più grossa crisi dal dopoguerra ad oggi comincio così, come tutti. Sono da quasi un mese con il ristorante chiuso, e la mia prima preoccupazione giorno dopo giorno è come poter pagare i dipendenti, la seconda è come poter riaprire, ma dobbiamo farlo appena possibile, altrimenti i debiti ci soffocano, e lo dico io che, per fortuna, avevo un’azienda senza debiti.

Per quanto riguarda la “riapertura”, è vero che si ripartirà tutti da zero, ma a che prezzo? Quanti torneranno al ristorante finita questa storia? O meglio quanto tempo ci vorrà prima che la gente si tolga da dosso la diffidenza che ha oggi nei confronti del prossimo?

Dovremmo capire noi ristoratori, che domani troveremo un mondo cambiato, un mondo differente e dovremmo reinventarci un lavoro. Ci vorrà del tempo prima che la macchina ristorazione si rimetta in moto, perché la paura è entrata dentro di noi ripartiamo da zero, iniziamo a correre per trovare nuove soluzioni. Preferirei, per esempio, aprire subito come take away + delivery almeno è già qualcosa.

Il plexiglas no, non mi piace, soprattutto in un posto piccolo come il mio, ma se mi aiuta a respirare in sicurezza, ben venga.

Fabio Di Vilio, Chef – la Scialuppa Da Salvatore – Fregene (RM)

Io credo che progettare la ripartenza delle attività commerciali sia fondamentale in questo momento,creare un Planning a cui attenersi, delle istruzioni da seguire e soprattutto dare delle idee temporali in modo tale da potersi organizzare al meglio!

Io credo che con delle giuste accortezze igieniche e sfruttando la tecnologia che abbiamo a disposizione si possa gestire la cosa in maniera non dico semplice ma efficace. Siamo stati tutti segnati da questa esperienza e quindi siamo più pronti a prenderci le nostre responsabilità in quanto in noi si è sviluppato un senso civico che si era un po’ perso. L’idea del plexiglass al mare la trova abbastanza inappropriata, si dovrebbe tenere conto di troppi fattori climatici che renderebbero le cose irrealizzabili, cerchiamo di non cadere nel ridicolo.

Secondo me andrebbero dotati i nostri operatori di accessori che possano garantire al meglio la salvaguardia sia loro che dei nostri clienti, mantenendo le giuste distanze di sicurezza generali. Io trovo che come ristorazione si possa ripartire, riducendo anche il numero di ospiti, ma una prima fase di convivenza siamo pronti per affrontarla. Si potrebbe tutto gestire mediante delle app in cui la gente si prenota evitando così code inutili,gestendo così live i posti disponibili.

Emilia Branciani, Imprenditrice – Livello 1, Roma

Parliamo di sicurezza del personale e, nell’eventuale riapertura, di dare modo alle aziende di fare tamponi almeno ogni 5 giorni, di locali sterilizzati, di normative, ma veniamo al punto dolente: avranno voglia le persone di venire a mangiare con l’incubo coronavirus ?

Per quanto mi riguarda ho un locale nuovo, una sala molto ampia, con tavoli già molto distanziati, per cui per me le misure di adeguamento potranno essere messe facilmente in atto, ma se parliamo di ristoranti al centro storico o delle piccole realtà? Sarà un massacro, perchè sono le nostre sono che regalano momenti di svago, felicità e aggregazione. Come potremo interfacciarci con un cliente e sorridere in sala con mascherina e guanti?

Fondamentale e’ il ripristino del turismo, ci sono parecchi colleghi che vivono di quello, altri invece hanno una clientela business. A mio modesto parere, sono per molti versi sfavorevole alla riapertura con limitazioni.

Ma sono consapevole che tutta la nostra categoria non potrà mai reggersi senza sostegno fino a quando ritorneremo alla normalità, una normalità per adesso molto lontana. Ci sarà molto da fare e reinventarsi, di persone nello staff che credano nuovamente in un nuovo progetto di ristorazione.

Purtroppo ad oggi il solo spiraglio e’ il delivery. Bisognerà destare interesse nel cliente, magari facendogli comporre un piatto con tanto di ricetta scritta messa nel pacco, per il resto non voglio pensare nemmeno che turismo e ristorazione siano “finiti”.

Davide Lombardi, Imprenditore e Ristoratore – Cento, Roma

Il nostro ristorante è chiuso dal 7 di marzo, ancor prima ci dicessero di chiudere al pubblico definitivamente. Non avendo dipendenti oltre noi soci, (io e Valerio Chiacchierini), la nostra situazione è meno critica rispetto a tanti colleghi, anche se comunque l’affitto prima o poi bisognerà pagarlo e le bollette delle utenze continuano ad arrivare.

Purtroppo non effettuando in precedenza consegne a domicilio non ce la siamo sentita di intraprendere tutto l’iter previsto per entrare a far parte dei vari portali, considerando in primis la percentuale molto alta che viene decurtata dal prezzo finale dalle stesse. Essendo il nostro un ristorante giovane nel quale io e Valerio abbiamo investito tutto ciò di cui avevamo disponibilità è di facile intuizione la nostra situazione economica in questo momento: fortunatamente abbiamo delle famiglie alle spalle e continuiamo a poter mangiare.

Il futuro è molto incerto perché con la potenza di fuoco (600€) promessa dallo Stato, che tra l’altro neanche arriva, non andremo lontani perché il conto in banca continua a scendere, cosa che farà si che qualsiasi richiesta di prestito verrà negata.

Per quanto riguarda le buffonate che stanno ipotizzando in questi giorni, ahimè, le trovo solamente un dare una falsa speranza al popolo italiano.
Ok, distanziamo i tavoli di un metro, due dicono sarebbe meglio, ma poi la gente ci dovrà pur arrivare al tavolo quindi che facciamo delle gallerie per arrivare al proprio posto? Gli operatori di sala li tireranno i piatti? O compriamo, come già visto, i robot per servire ai tavoli? I servizi igienici li chiudiamo? Se un asintomatico starnutisse in bagno contaminerebbe l’ambiente, o sbaglio?

Per quanto riguarda il mare mi viene da sorridere quando vedo quelle gabbie di plexiglass, le refrigeriamo o moriamo asfissiati? In acqua le distanze chi le controlla? E come ci comporteremo con le spiagge libere?
Ritengo, anche a mio discapito, che finché non ci sarà un vaccino e non faranno tamponi a tappeto dovremmo stare tutti a casa, altrimenti andrebbero vani tutti gli sforzi fatti fino ad ora.

Diego Vitagliano, Pizza Chef e Patron – 10 Diego Vitagliano Pizzeria, Napoli e Pozzuoli

Credo che inizialmente ci sarà un cambio radicale di vita ove la gente avrà paura di esporsi e di esuberare, sia per una questione di salute e sia per una questione economica, visto che, ad oggi, dopo 50 giorni di fermo nessun ammortizzatore sociale ci ha aiutato.

I consumi saranno inizialmente limitati -questo è chiaro- ma sarà a noi ristoratori riacquistare la fiducia della nostra clientela cercando, nelle possibilità, di dare la massima sicurezza nella preparazione e nel servizio.

Ci dovrà essere più cura nei minimi particolari ad esempio (cosa che nei miei locali già si svolgeva) un addetto alla pulizia dei bagni durante il servizio, oltre a distanziare e sanificare continuamente l’ambiente.

A parer mio ci vorrà un anno per riuscire in una ripresa del turismo estero mentre diversamente lo sarà per quello nazionale. La fortuna è che, tra poco più di un mese, sarà estate e quindi una percentuale di italiani sicuramente si muoverà da Nord verso Sud e viceversa.
Bisognerà riconfigurare tutto il sistema lavorativo infatti nei miei locali non ci saranno più assembramenti nelle sale di attesa, lavoreremo solo su prenotazioni, divise in tre turni, e forse sarà anche vantaggioso in termini di qualità sia del prodotto che del servizio .

Credo che il mondo gourmet reagirà molto positivamente, certo, resterà sempre di altissimo livello ma si punterà alla semplicità assoluta perché ora la gente avrà fame di semplicità, di calore, di coccole e non di “show”, come si dice a Napoli. Sarà più facile riaprire con le restrizioni per i locali grandi ma comunque bisognerà ridimensionare le spese, i costi fissi e forza-lavoro.

Credo che sia una follia parlare di divisori in plastica tra i tavoli e box in spiaggia se poi che le persone arrivano in una sola auto magari in 4-5 persone. Purtroppo finché non ci sarà un vaccino o una cura nulla cambierà, siamo tutti a rischio per questo io penso che ripartire ora, dopo due mesi di stop, sia una grande cosa per l’ Italia.

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Il bisogno e la voglia di pensare a domani è forte e incalzante. Non tornerà tutto come prima, questo è chiaro, nè a livello territoriale, nè per tutte le attività lavorative. Si prevede una graduale riapertura delle imprese, ma per negozi, aziende, ristoranti, bar e pub ci vorranno ancora settimane e bisognerà osservare alcune misure di contenimento extra-ordinarie per molto, molto tempo. 

Fare pronostici su date, costi, incentivi, sovvenzioni o investimenti all’interno delle attività di ristorazione ed ospitalità in questo momento sembra sia parere diffuso, bisognerà per prima cosa riaprire, e rimboccarsi le maniche. Non bisogna abbattersi, anzi pianificare. Siamo italiani, capaci, creativi, ingegnosi, torneremo a splendere, con fatica si, ma saremo migliori di prima. Ci sarà bisogno di più concretezza, di tornare a spendere dai piccoli produttori, di ripartire dal basso per arrivare in alto, di riattivare un sano meccanismo in nome di un bene comune deve superare ogni tipo di individualismo; lì dove solo un’azione motivata, appassionata, coordinata e sinergica sarà in grado di garantire un approccio efficace e un risultato concreto verso un nuovo modo di pensare e concepire la ristorazione del futuro.

Perchè a quel punto, anche la domanda si presenterà profondamente modificata nella struttura psicologica e nella capacità economica; sarà diversa e limitata ai confini nazionali, crescerà gradualmente, soprattutto in ambito internazionale, mentre i segmenti e i canali di vendita classica si stanno già modificando. 

E come e quanto cambieranno le esigenze, i consumi dei cittadini in tempo di post-pandemia? Come si andrà a riconfigurare l’enogastronomia italiana e il turismo? Come reagirà il mondo gourmet? Quanto inciderà sulla ristorazione classica il passaggio dall’offline all’online, i servizi di food delivery e la consegna cibo a domicilio? 

Come, in sintesi, e da dove si ripartirà per ricostruire la nostra Italia? E come la Ristorazione deciderà di ottimizzare le tante possibilità di una crisi che, letta al contrario, potrebbe essere un’occasione più unica che rara per cambiare il mondo in meglio e recuperare i valori tradizionali in cucina come nella vita? 

Cosa dicono, cosa ne pensano i nostri Chef, Pizzaioli, Ristoratori, Imprenditori, Produttori, Albergatori, Psicologi e Giornalisti? Ogni settimana rispondono Protagonisti e Intellettuali del Settore sul tema “Ristorazione e Futuro”.

Roberto Wirth, Proprietario e Direttore Generale Hotel Hassler e Imago, 1 Stella Michelin, Roma

Con quali strumenti di supera questa crisi?

Ovviamente contenendo il più possibile i costi ma continuando ad investire nel marketing al fine di mantenere elevata la visibilità dell’Hotel su tutti i canali di distribuzione disponibili. Possiamo riassumere questo concetto in: #stayhome #staysafe but keep on dreaming. Dobbiamo far sì che quando si ricomincerà a viaggiare, la nostra immagine sia consolidata e forte come lo era prima della crisi.

Per recuperare i danni di questi mesi, un grande albergo come il suo, può abbassare i prezzi e rivolgersi a una clientela diversa?

Non riteniamo che abbassare i prezzi possa aiutarci in alcun modo. Come lei sa, per gli alberghi di lusso, un elevato standard di servizio è fondamentale ed il servizio è fatto dalle persone. Diminuendo i prezzi rischieremmo di non essere in grado di fornire gli standard di servizio per cui l’Hassler è famoso nel mondo e rischieremmo di danneggiare l’identità ed il DNA del nostro albergo. Continueremo a rivolgerci ad una clientela nazionale ed internazionale di alto livello.

Quali promozioni si possono ideare per rilanciare l’industria alberghiera e il turismo?

Più che di promozioni, penserei ad un modo per incoraggiare i clienti a viaggiare di nuovo. Dopo questa crisi il mondo non sarà più lo stesso, dovremo rassicurare i nostri clienti che l’Hassler sarà un luogo sicuro, dove, ancora più di prima i clienti saranno al centro della nostra attenzione. Dovremo renderli partecipi di quanto faremo in termini di sanificazione cosicchè non considereranno rischioso viaggiare e soggiornare presso di noi. Alcune compagnie aeree hanno già iniziato divulgando dei video in cui mostrano come disinfettano e puliscono gli aerei dopo ogni volo. Dovremmo ispirarci a loro.

Quante prenotazioni e per quanti mesi a venire sono state cancellate?

Nel giro di due mesi abbiamo ricevuto cancellazioni per più di 4.000 room nights a partire da marzo fino ai mesi di agosto e settembre e quel che è peggio è che stiamo ricevendo pochissime prenotazioni.

Dopo questa crisi Roma può ridisegnare la sua offerta turistica e puntare a un turismo di maggiore livello, lavorando d’intesa con le istituzioni per creare attrazioni culturali capaci di generare flussi mirati?

Non solo può ma deve! Prima della crisi, su suggerimento del nostro direttore, nonché proprietario dell’Hassler, Roberto Wirth, avevamo creato un piccolo comitato di hoteliers di lusso per dialogare con le istituzioni al fine di rilanciare l’immagine di Roma e lavorare di comune accordo per generare flussi mirati. Avevamo già avuto diversi incontri ed eravamo stati anche ricevuti dal Vice Sindaco e dall’Assessore alla Cultura e Turismo. Speriamo vivamente, in un futuro prossimo, di poter continuare in tal senso.

Gastone Pierini, Imprenditore, MOMA Ristorante – 1 Stella Michelin, Roma

L’enogastronomia ed il turismo Italiano, in conseguenza del Coronavirus, stanno subendo un pesantissimo danno economico ed un gravissimo danno d’immagine agli occhi del mondo intero, pensare oggi ad una “riconfigurazione” non è proprio facile. Personalmente sono convinto che non vedremo più un turista Europeo fino alla prossima primavera, non solo perché tutti gli altri paesi Europei, vivono ancora nella prima fase della pandemia, ma soprattutto perché tutta la fase successiva al contagio sarà lunga e molto complessa, non conosciamo ancora bene la misura del protocollo sanitario che verrà applicato, ma ascoltando le prime indicazioni, anche questo non fa ben sperare.

La sola speranza di riconfigurare al meglio entrambi i settori, è attualmente rappresentata dal turismo Asiatico, sicuramente il primo ad uscire dalla pandemia e senz’altro il primo che riprenderà a viaggiare: rivolgersi con maggiore attenzione verso quei mercati, potrà dare sicuramente ottimi risultati.

Per il resto, il turismo Europeo, come già detto, se tutto andrà bene, lo potremmo rivedere per le festività Natalizie, mentre invece per quello Americano, considerala la nota diffidenza propria della popolazione, forse a primavera, a condizione però che sia loro garantita la massima sicurezza.

Se vogliamo valutare solo l’aspetto psicologico, credo che nella prima fase del Post Pandemia, i cittadini Italiani saranno talmente traumatizzati da quanto accaduto e ugualmente talmente felici che la quarantena sia finita, che la loro percezione del benessere, sarà completamente cambiata, rispetto al prima.

La costrizione forzata, quella sensazione di impotenza che tutti hanno vissuto avrà cambiato molto la loro percezione del benessere, sicuramente d’ora in avanti, al benessere, abbineranno immediatamente il concetto di muoversi in libertà.

Le esigenze di ognuno nel Post Pandemia, saranno quelle di riappropriarsi dei propri spazi, delle proprie abitudini, ma nello stesso tempo vorranno molta più sicurezza negli ambienti che frequentano quotidianamente: il posto di lavoro, il bar per le colazioni, la pausa pranzo, l’aperitivo, la cena con gli amici, tutto sarà visto con occhi diversi, perché nulla sarà come prima, magari prima non si dava molta importanza a tante cose, ma da adesso in poi, tutti saranno più “esigenti”, nessuno vorrà più ripetere la esperienza passata. Probabilmente questo influenzerà molto anche sui “consumi” dei cittadini, i quali saranno anche in questo caso molto più esigenti di prima, vorranno maggiori informazioni sul cibo, sulla sua provenienza, sulla sua reperibilità, sulla sua conservazione e naturalmente saranno molto più attenti e critici, sul prezzo.

Credo che il mondo Gourmet subirà un grave contraccolpo: in un mondo senza Coronavirus già le aspettative erano tante, nel post-covid il livello di attenzione al dettaglio dovrà essere ancora più alto.

Nel mondo Gourmet, nulla è lasciato al caso, l’ambiente, l’atmosfera, il servizio di sala e sopratutto la cucina, ma “niente sarà più come prima”, i protocolli sanitari, le mascherine protettive, la distanza tra i tavoli, i percorsi da seguire ecc., avranno un impatto negativo sulla clientela, ma l’ospite, in nessun modo dovrà percepire alcun disagio. Naturalmente tutto questo si trasformerà in un notevole aumento dei costi, ma considerato il momento così delicato, sarà assolutamente sconveniente rivedere i prezzi dei menù, perlomeno nella prima fase di riapertura.

Oggi per la ristorazione classica, il passaggio dall’offline all’online, i servizi di delivery e la consegna a domicilio, sembrano essere la sola possibilità di poter sopravvivere. Purtroppo credo che il necessario adeguamento a questa nuova modalità di lavoro, inciderà molto negativamente su tutti quei ristoranti che non abbiano la possibilità strutturale di adeguarsi alle normative che regolamentano il delivery, questa prevede spazi operativi e percorsi dedicati esclusivamente a quel tipo di servizio, al contrario invece, questa nuova modalità di lavoro inciderà molto positivamente su tutti quei locali che dispongano di spazi adeguati. Ma sono fermamente convinto che per fare ripartire il nostro bellissimo Paese ci sarà bisogno di un grande senso di responsabilità in ognuno di noi ed in tutti i settori, il vero cambiamento può e deve avvenire soprattutto dentro di noi, anche perchè, cito, “il cibo diventerà una scelta consapevole a favore della propria salute e di quella del pianeta per una economia che favorisce l’agricoltura, il territorio e le tradizioni “.

Oliver Glowig, Executive Chef, Barrique – Monte Porzio Catone, RM

Personalmente utilizzerò ancora più materie prime italiane e legate al territorio locale sia per sostenere l’economia italiana sia perché l’Italia offre da sempre una grande qualità e varietà. Non bisogna per forza utilizzare alici del Cantabrico oppure germogli olandesi, non è necessario: ora più che mai è fondamentale che si dia più attenzione ai nostri prodotti. A parte questo, il mio stile di cucina non cambierà. Le materie prime sono state per me da sempre protagoniste nel piatto, creando armonia grazie al sapiente abbinamento degli ingredienti.

Per quanto riguarda l’esigenza di aumentare le distanze tra i tavoli, per fortuna nei nostri ristoranti abbiamo tanto spazio. Al Barrique i tavoli sono molto grandi e da sempre distanziati (anche tra gli stessi commensali) e, da EPOS, sicuramente toglieremo qualche tavolo ma confidiamo nella bella stagione: sulla terrazza esterna gli spazi sono davvero grandi. Questo rassicurerà, insieme al rispetto di tutte le norme sanitarie che stabiliranno, gli ospiti.

Lavoriamo da sempre per la maggior parte con una clientela locale e italiana: in questo periodo di fermo, i nostri clienti ci stanno scrivendo e non vedono l’ora che riapriamo. Certo, in generale purtroppo mancheranno i clienti stranieri quest’anno e non sarà indolore per tanti anche se a noi impatta poco. Sarà una ripartenza difficile ma bisogna crederci e ripartire fiduciosi.

Con Felice Mergè, il patron di Poggio Le Volpi, abbiamo deciso di pensare positivo. Siamo stati e saremo, ancora per un bel po’, chiusi nelle case e credo alla riapertura ci sarà una grande voglia di uscire, di andare nei ristoranti, di muoversi (se sarà possibile). La gente uscirà, ormai stanca di mangiare sempre le stesse cose a casa. Certo, bisogna dare una attenzione in più ai prezzi. Offrire magari anche menù scontati con dei prezzi accessibile per tutti. Io sono convinto che la buona cucina vince sempre

Carlo Maddalena, impreditore – Giulia Restaurant, Roma

E’ inutile che ci prendiamo in giro, la ripresa sarà difficile e lenta. Il nostro settore sarà l’ultimo a rimettersi in moto e con delle limitazioni importanti. Verrà a mancare la clientela internazionale per un lasso di tempo non trascurabile e gli italiani, se da un lato avranno una gran voglia di normalità, dall’altro si ritroveranno impauriti, nella condizione di doversi ridimensionare e darsi delle priorità. Questi sono indubbiamente dei dati ti fatto… ma è altrettanto un dato di fatto che noi tutti abbiamo tirato su le nostre attività con passione ed enormi sacrifici, abbiamo assunto dipendenti, preso impegni importanti, stretto rapporti con clienti. In definitiva abbiamo creato e creduto in un progetto e faremo come sempre i salti mortali per perseguirlo, adeguandoci ad un panorama completamente diverso da quello che conoscevamo.

E li dovremo fare da soli questi salti mortali, non potendo contare sull’aiuto di uno Stato che, prima ti obbliga   a fermarti per motivi sacrosanti, ci mancherebbe, ma che poi non perde occasione per voltarti le spalle,   dimostrandosi come sempre inutile, inadeguato, ingordo, e dando come unica alternativa alle imprese di indebitarsi per sopravvivere. Un’analisi dell’azienda ancor più minuziosa sarà indispensabile per la sostenibilità economica della stessa, con l’individuazione ed il taglio di inutili frizzi e lazzi, concentrandosi ancor più su qualità di servizio e prodotti, pur contenendo i costi di gestione.

L’unico modo per motivarsi a venirne fuori, a parer mio, è quello di vedere la ripartenza come un’opportunità per cambiare qualcosa, non identificandola in un ripiego, in un disagio, ma bensì in un nuovo obiettivo.

Dovendo rispondere alle nuove esigenze derivanti dal consolidamento dello smart working, con ogni probabilità il delivery entrerà a far parte delle nostre abitudini, con un’offerta che si completerà anche con la fascia di ristorazione più alta.

Giulia ripartirà dai clienti italiani, dalla città, dal quartiere, in controtendenza con una esterofilia fortemente radicata specialmente nella ristorazione del centro storico, andando a recuperare un rapporto diretto con il territorio che si era andato via via perdendo ed attuando un’attenta politica dei prezzi.

Stefano Marzetti, Executive Chef – Mirabelle, Roma

Non possiamo immaginare quello che accadrà domani perchè non abbiamo mai vissuto nulla del genere. Probabilmente fino alla fine del 2020 questa esperienza cambierà la ristorazione, anche ad emergenza finita i ristoranti serviranno solo clienti individuali, tavoli ben distanziati, massimo per quattro persone. Questo virus è cosmopolita, non conosce frontiere e differenze nè di religione, nè di sesso, nè di razza. Per batterlo per adesso bisogna rimanere a casa, e preparare il rilancio.

Dovrebbe, a mio avviso, cambiare il modo di fare ristorazione, molta più sostanza e meno apparenza, materie prime di qualità, e forse potrebbe aprirsi un nuovo capitolo per il made in Italy, vero, di qualità estrema, profondamente legato alle sue radici e alla sua tracciabilità.

Anche nelle case degli italiani, i social lo dimostrano, sta tornando una grande voglia di piatti della tradizione e quelli del comfort food. Questa è la chiave per ripartire, è anche un modo per raccontare la sicurezza dei prodotti italiani, per valorizzare filiere e produttori, in questo momento anche loro in grande difficoltà. Noi chef dobbiamo essere bravi ad avere un dialogo più stretto con i nostri fornitori e valorizzare il made in Italy nei nostri piatti, così come facciamo da sempre al Mirabelle, e far sentire il cliente ancora più coccolato: il servizio dovrà essere ancora più attento in tutti i dettagli. La ristorazione, a tal proposito, dovrà valorizzare ancora di più questo grande patrimonio anche per aiutare le aziende italiane e ripartire tutti insieme con molta più umiltà. La ristorazione tornerà ad essere e il fulcro del turismo, rispettando tutte le procedure igienico sanitario verrano adottate. Abbiamo tutti capito quanto la ristorazione è fragile. Le tempistiche per un ritorno alla normalità sono lunghe ed imprevedibili, anche le persone saranno diffidenti e sospettose.

I Grandi rimarranno Grandi se faranno un passo verso una maggiore umiltà e semplicità, e andranno bene le attività che puntano sul concreto. Per uscirne servirà il cuore, rimboccarsi le maniche e sviluppare nuove prospettive lavorative. L’Italia ha senso in sè ma molto di più riconnessa al mondo.

Sara Blandamura, imprenditrice e Sommelier, Le bollicine di Sara – Bistrot, Roma

Le Bollicine di Sara ha chiuso esattamente in corrispondenza del suo primo anniversario. Immaginando le riaperture ti dico che la vedo molto dura, per me ad esempio il mio Bistrot era nato per condividere, festeggiare, degustare insieme, non di certo per entrare mangiare in modo circospetto e andar via velocemente.

Penso, leggendo chi ne sa più di me, che le regole saranno talmente tante e talmente rigide che saranno applicabili per pochi, per gli spazi prima di tutto. Un problematica comune ai bistrot, pub, piccole trattorie piccole, bar e poi non potendosi avvicinare, come potremo versare un calice? Come potremo poggiare un piatto? Mi sembra incredibile ma la situazione è questa.

Si ipotizzano carrelli per portare il tutto in modo che il cliente possa prendere da se le pietanze (mah!!!!). Quindi solo i ristoranti gourmet penso siano attrezzati per spazi ma dovranno modulare l’offerte, e forse anche i grandi ristoranti da ricevimenti e banchetti che però dovranno dimezzare i loro coperti, anche più che dimezzare.


Certo le persone avranno una predisposizione psicologica diversa ed una disponibilità economica diversa, sicuramente si tornerà ad un offerta più semplice ed economica, io credo che comunque dovremo dare almeno un estetica appagante ai piatti, perchè mangiare fuori è un esperienza completa non solo un riempirsi la pancia.

Poi c’è la questione dei clienti internazionali, anche qui tutto sarà da modulare sui piatti tradizionali ma ulteriormente ben fatti, considerando che noi italiani li conosciamo molto bene. Per il delivery invece che dire? Io ci credo poco, giusto per pizze, panini e dolci, non sarà mai come uscire e scegliere un posto dove godere di un’ atmosfera oltre che di un buon piatto.


Di buono sicuramente ci sarà che ci dovremo concentrare su un ulteriore qualità nella semplicità e su un igiene seria che non guasta mai! La semplicità evidenzia sempre le capacità. Un altro aspetto positivo che mi auguro è l’acquisto delle materie prime da fornitori vicini e locali. Questo sarà un grosso plus che ci aiuterà a tirarci su ed anche ad avere più qualità.

Marco Lombardi, Docente, Giornalista gastronomico, il Messaggero, Gambero Rosso

Usciremo da questa crisi più uniti di prima, pubblico e chef e critica, perchè saremo costretti a farlo, riscoprendo che “pranzare fuori” è un’esperienza più sociale, cioè umana, che gourmet.

In particolare gli chef riscopriranno il piacere di restare presso i rispettivi ristoranti, accogliendo i propri invitati come dei buoni padroni di casa, invece di girovagare per festival e televisioni. Speriamo solo che non ci si dimentichi in fretta di questa forma di bellezza, riportando tutto al prima.

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Dalle Alpi alle Coste isolane le ricette per portare sulla tavola i sapori della primavera italiana, scoprire prelibatezze e piatti tipici pasquali, simbologie, leggende e curiosità delle nostre 20 regioni-scrigno. Terza tappa: Molise, Campania, Puglia, Calabria, Basilicata, Sicilia e Sardegna. Per la Prima Tappa clicca qui, per la Seconda clicca qui.

La Primavera, così come la Pasqua, non la puoi fermare, non la puoi recintare. La natura si risveglia dal torpore invernale e, coincidendo con uno dei momenti fondamentali nell’anno liturgico cristiano, amalgama a sé quell’insieme di gesti agropastorali propiziatori per il raccolto della bella stagione che si sono fatti nel tempo un cibo carico di simbologie, divenendo tradizioni gastronomiche che, ben oltre i dialetti, uniscono l’Italia tutta.

Con le dovute varianti da regione a regione, ma tutte inneggianti ai frutti della buona primavera, la tradizione prevede che si festeggi con l’agnello o il capretto al forno, erbe di spontanee, verdure di stagione e formaggi spesso lavorati assieme e chiusi in fragranti torte rustiche, poi, chiaramente tante uova, simbolo di vita, rinascita, rinnovamento.

Così, dalle Alpi alle calde coste isolane sulle tavole di Pasqua e Pasquetta non possono mancare pani poveri e saporiti, torte ricche e farcite, frittate e frattaglie, risotti e lasagne, carni da cortile, arrosti e brodi, dolci e brioche, colombe e cioccolati.

Le tradizioni di origine ortodossa vogliono inoltre che la Pasqua sia per eccellenza occasione per ritrovarsi in compagnia numerosa. Ma se la Pasqua 2020 ci impone ci stare a casa e soli, ecco una ragione in più per cimentarsi nella preparazione di ricette meno note e sperimentare i sapori della primavera italiana superando così, almeno a tavola, i confini razionali e regionali. Buona Pasqua.

– Molise

Se credevate di conoscere tutte le tipologie di lasagne, vi sbagliavate perchè, oltre a quelle bolognesi, a quelle verdi, a quelle ricche napoletane e siciliane ci sono, ebbene si, quelle in brodo.

Il Molise, scisso dagli Abruzzi dal 1963 e regione dal 1970, una delle più piccole d’Italia, ha due province, Campobasso e Isernia. In sua gloria ha le laine del conforto con polpette e brodo, come è d’uso a Montenero di Bisaccia. Per cucinare le lasagne in brodo, preparate un buon brodo di gallina assieme alle sue interiora; amalgamate la carne e le frattaglie del pollo con del macinato, noce moscata, mollica di pane, uova, formaggio, prezzemolo. Ricavate delle polpettine grosse come un cece, cuocetele in brodo.  A parte cuocete le lasagne. Versate qualche mestolo di brodo in una teglia, rivestite il fondo con le lasagne, spolverizzatele di formaggio, mettete una manciata di polpettine e una di tocchetti di formaggio, quindi aggiungete qualche mestolo di brodo e servite caldo.

Si prosegue con Casciatelli, Agnello e insalata buona Pasqua, fatta con uova di quaglia sode e fagiolini verdi. Col grano pestato al mortaio si prepara in Molise, nelle zone di Monteroduni e Sant’Agapito, la PIA.

La  pia è un piatto tipico di Sant’Agapito, paese in provincia di Isernia, dove, per tradizione viene mangiato il Sabato Santo o la mattina di Pasqua.
Richiama antichi riti pagani di primavera, propiziatori di buoni raccolti e di abbondanza. Anticamente per preparare questo piatto veniva utilizzato il grano “spogliato”, cioè  messo a bagno per ventiquattro ore nella “pila” (grosso recipiente di legno a forma di imbuto), poi privato della pula con i colpi di un pesto ( mazzola) in legno veniva “spogliato” fino a quando il grano non era pronto per essere setacciato e cotto a fuoco lento con abbondante acqua salata. Oggi è possibile saltare  questo passaggio utilizzando del grano precotto, in barattolo.

anche la frittata di Pasqua è ricca di simbologie: è molto grande, fatta con uova sempre di numero dispari e preferibilmente più di 101. Durante la preparazione ogni familiare ne deve rompere almeno una per assicurarsi lunga vita. Si aprono anche per i parenti defunti, per alleviare la loro espiazione dei peccati nell’Aldilà. Contiene coratella, formaggio caprino, nepitella, asparagi selvatici.

– Campania

In Campania, ad esempio, la tradizione della Pasqua è molto sentita, sia a livello religioso che gastronomico. Per molte famiglie è motivo di gioia perché ritornano a casa i figli lontani trasferiti al nord, per tanti altri è semplicemente l’occasione per riunirsi con amici e parenti. Ma anche per i tanti turisti che scelgono la Campania come meta delle loro vacanze pasquali, una full immersion nella cucina napoletana non guasta mai.

Ci sono piatti imprescindibili nella cucina partenopea, dal casatiello alla minestra maritata, che sono il cuore pulsante della tradizione, ma non mancano anche altri tipi di primi piatti pasquali meno partenopei, ma comunque tradizionali.

Si parte dalla sera del giovedì santo, con la zuppa di cozze, preparata con pane duro, cozze e polpo.

Il venerdì santo si è invece soliti praticare il digiuno, secondo la tradizione Cristiana ed approfittarne per preparare tutti i piatti della tradizione per il giorno di festa.

Il sabato santo è l’occasione per dare il via libera al casatiello, il più classico e famoso tra i piatti pasquali. Si tratta di un rustico realizzato con pasta di pane a forma di ciambella con delle uova sode intere posizionate sulla superficie. Il termine di questo piatto deriva dalla parola “caso”, che in dialetto napoletano vuol dire formaggio, e richiama la consistente presenza di questo ingrediente all’interno del rustico, insieme a diversi tipi di salumi, quali mortadella, prosciutto cotto e salame, con l’aggiunta di pecorino romano, parmigiano, strutto e ciccioli di maiale.

Nella provincia di Caserta è diffusa anche la variante dolce del Casatiello, preparata con uova, strutto, glassa, zucchero e sopra, al posto delle uova, ci sono i tipici confetti campani chiamati “Diavulilli”, presenti anche nella ricetta degli struffoli.

Altro rustico della tradizione pasquale in Campania è la Pizza ‘Chiena Napoletana, formata da una sfoglia alla base di strutto, farina e lievito di birra, ed un ripieno di uova, prosciutto cotto e crudo, pecorino e parmigiano grattugiato, provolone e scamorza.

Il pranzo pasquale inizia con la tipica fellata, un antipasto di affettati misti, il cui termine deriva da “fella”, parola napoletana che indica la fetta, poiché tutti i salumi sono tagliati a fettine più o meno sottili. Nella fellata troviamo il salame napoletano, il capocollo, la ricotta salata, il provolone e uova sode. In alcune zone del casertano non è raro trovare anche la mozzarella di bufala.

Si prosegue poi con la minestra maritata, che vede l’accostamento della carne agli ortaggi e che è stata a lungo la pietanza del regno di Napoli prima di essere sostituita dai maccheroni. Il nome deriva dal fatto che gli ingredienti, la carne e le verdure miste come cicoria, scarole, verza e borragine, si sposano, ovvero si cuociono insieme creando un unico sapore.

In alcune famiglie si prepara anche la pasta al forno con sugo e provola, oppure sformato ricco di tagliatellepasta pasqualina fettuccine alla maestosa. È poi il turno dell’agnello con piselli e uova prima di arrivare a mettere le mani sulla Regina indiscussa della tavola di Pasqua in Campania: la famosa pastiera napoletana, così buona che molte pasticcerie ora la preparano durante tutto l’anno e non più solo a pasqua.

Si racconta che, per la sua bontà, l’imperatrice Maria Teresa D’Asburgo, che non rideva mai, dopo averla assaggiata avesse fatto uno dei suoi primi sorrisi facendo nascere il detto napoletano “magnatell ‘na risat”.

La pastiera, di colore giallo, altro non è che una torta di pasta frolla croccante, con il morbido ripieno di ricotta, uova, zucchero, frutta candita e grano bollito nel latte. Nella ricetta originale viene inoltre aromatizzata con cannella, canditi, scorze d’arancia e vaniglia.

Nel salernitano, la versione è leggermente differente e sostituisce il riso al grano, mentre a Mondragone la si prepara senza ricotta. In provincia di Napoli, invece, nella zona di Torre del Greco, si è soliti preparare la pastiera di pasta: una sorta di frittata di pasta fatta con i capellini e zucchero, vaniglia, cannella e fiori d’arancio, dalla consistenza morbida e croccante allo stesso tempo.

– Puglia

Le celebrazioni pasquali in Puglia a tavola sono sentite per lo più tra i secondi piatti e i dolci, dove l’agnello la fa sempre da padrone.

Un classico è l’Agnello con patate al forno, irrorato con vino rosso o rosato e la variante con le patate prima fritte nel tipico olio pugliese a bollore per dare loro una sfumatura dorata e un sapore più profondo, poi finite in forno.

Capace di combinare il simbolismo dell’agnello con quello dell’uovo, immagine dedicata al concetto di rinascita e resurrezione, la ricetta del Brodetto di Pasqua con uova e piselli e pecorino. 

L’antipasto qui si chiama Benedetto e annovera i prodotti tipici delle terre di Puglia: capocollo di Martina Franca con fette d’arancia e olio Evo, ricotta frescaasparagi, taralli bolliti e uova sode; ed è così chiamato così per via del ramoscello di ulivo che è abitudine porre sul piatto una volta pronto, in segno di benedizione per tutti i commensali.

L’agnello è padrone anche del comparto dolciario della Pasqua pugliese, con la ricetta del tipico Agnello in pasta di mandorle. La regione è celebre per la sua cultura dolciaria e la sua nascita è legata ai monasteri benedettini della città di Lecce, dove fu preparato la prima volta. Ricca per fascino estetico e valore simbolico, la ricetta prevede un grande uso della pasta di mandorle che rappresenterà in seguito la figura dell’animale.

Poi panzerotti in una gustosa variante: le pastatelle pugliesi, conosciute anche come boconotti, un esterno d’impasto dolce ricoperto da zucchero a velo con un interno di marmellata alle ciliegie. Un piatto capace di ingolosire chiunque, finger food solitamente di breve durata sulla tavola per via della facilità con cui viene consumato.

A simboleggiare la liberazione dal peccato originale è tipicamente la scarcella, un grande biscotto in pasta frolla realizzato con ingredienti tipicamente poveri e alla portata di tutti: farina, olio, uova. La forma è variabile ma spesso le si dona l’aspetto della colomba pasquale, indicando la nascita di una nuova vita. È possibile assaggiare scarcelle a forma di coniglietti, cestini, cuori e molto altro, comunemente decorate con uova sode o ovetti in cioccolato e confetti.

Scopri la ricetta su: Scarcella di Pasqua, dolce della tradizione pugliese

Base di una grandissima quantità di dolci pasquali è la pasta di mandorle, fusione di sapori come quello della mandorla con quello del limone, della ciliegia e del cioccolato bianco. Tra i diversi prodotti preparati con questa pasta ricchissima e speciale ci sono la cassata, il rollò, le cassatelle, le cassatine, la frutta di martorana o la frutta di pasta di mandorle, spesso presenti sulle tavole della regione soprattutto in concomitanza della Pasqua.

– Calabria

La tradizione calabrese a Pasqua arriva a tavola grazie con una selezione di salami, pancetta e soppressata unita a formaggi del territorio come caciocavallo, caciotte, ricottine con pecorino. Il tutto rigorosamente accompagnato da pane casereccio, funghi sottolio, olive “ammaccate” e filetti di melanzane. Si prosegue con un primo piatto carico di Sud: Fusilli con salsiccia e nduja con passata di pomodoro, nduja sbriciolata senza budello, cipolla e olio extravergine d’oliva.

Per non passare bruscamente al secondo piatto, cosa c’è di meglio che concedersi un ottimo Timballo nduja e cacio? Questo piatto è  un’esplosione di sapore che unisce tutta la piccantezza e il gusto intenso della cucina calabrese con una deliziosa croccantezza data dalla gratinatura in forno.

Per prepararlo sono necessari mezzi, caciocavallo silano, nduja, Parmigiano reggiano grattugiato, pangrattato, olio extravergine d’oliva e origano. Per Secondo: capretto al forno con patate, semplice con patate, aglio, olio, acqua, origano e sale. Il tutto, ovviamente, accompagnato da un buon bicchiere di vino rosso locale.

E arriviamo al momento tanto atteso dei biscotti pasquali: le Cuzzupe sono una sorta di biscotti morbidi fortemente radicati nella tradizione, comunissimi nel periodo di Pasqua e le Nepitelle, altra ricetta tipica calabrese ravioli dolci ripieni di marmellata di uva, mandorle, uva sultanina, cannella, cacao e liquore.

– Basilicata

La cucina Lucana è ancora poco conosciuta ma molto emblematica e ricca di simbolismi legati ad eventi religiosi e tradizioni che non devono essere perduti nel tempo.

In Basilicata, a Pasqua, l’usanza tipica è quella di unire tre alimenti che configurano la sacralità della morte e risurrezione del corpo di Cristo. La simbologia vuole che l’uomo chieda purificazione attraverso l’elemento/alimento madre, il cibo.

Il pranzo pasquale è indirizzato dall’ unione dei tre alimenti che compongono il sacrificio e la redenzione: l’uovo, simbolo della morte e risurrezione nella Pasqua; il formaggio, derivato dal latte, simbolo di purezza e di verginità; il verde colore dei vegetali, che Madre Terra.

Si pane lucano il Piccillato di Pasqua, realizzato con farina 00, vino bianco, lievito, uova, latte e scarso in sale. Torta salata di Pasqua per antipasto, ripiena di toma di pecorino, salame a dadini, uova e pepe.Un altro antipasto è il Tortino di patate e asparagi fresco e saporito. Si prosegue con Ravioli ripieno di funghi cardoncelli e minestra di cardi, fra i secondi piatti non può mancare l’Agnello alla lucana realizzato con petto o spalla di agnello, patate, pomodorini, mollica di pane, cipolline, pecorino e sapori; o il Capretto al forno con Muscari realizzato appunto con carne di capretto, muscari o comunemente conosciuti come lampascioni, mollica di pane, pecorino, aglio e sapori. Fra i dolci Pasquali tipici troviamo lo Squarcieddo.

– Sicilia


In Sicilia, terra molto legata alla tradizione religiosa, la Pasqua è una festività molto sentita. Durante la settimana santa, in passato si mangiavano solamente farinacei: si preparava quindi “il pane di cena”, pane dolce tipico della Sicilia orientale, impastato con la farina di Majorca, che nella provincia di Catania veniva invece usata per la cucchia, una specialità di pane che si cucinava per festeggiare la nascita di una figlia femmina. Il cibo umile è al centro di vari rituali durante la Settimana Santa: in provincia di Caltanissetta, ad esempio, dal Mercoledì Santo (giorno di processioni in tutta la Sicilia) in poi si portano presso i sepolcri patate, legumi e dei fusti di zagara detti cruneddi.

Le tradizioni culinarie pasquali del pranzo domenicale sono invece molto elaborate. Comune a tutta la Sicilia è l’agnello, che però presenta diverse ricette a seconda della zona: a Palermo si arrostisce e si serve con le patate, a Ragusa è accompagnato dall’impanata pasquale, una focaccia di origini spagnole, mentre a Trapani si cucina l’agnello alla menta.

In più, tipico di Messina è u sciusceddu, una ricetta antiche che vede polpette cotte in un brodo leggero e poi ricoperte dalla “conza”, una morbida crema di ricotta, formaggio e uova che, con il calore del forno, formerà una leggera crosticina dorata mantenendo una consistenza interna simile a quella di un soufflé; mentre ad Agrigento si prepara “il tegame pasquale d’Aragona”, formato da uova, zafferano e cannella.

Piatto forte del pranzo sono, però, i dolci. Il più importante e famoso è la cassata, che nasce come dolce pasquale ma è ormai presente in tutti i periodi dell’anno. Diffusa in tutta la Sicilia, ha origine nella Palermo araba e rispecchia nella sua composizione i diversi strati culturali della città. 

Il suo nome deriva dall’arabo quas’at (scodella), dal recipiente in cui ricotta e zucchero venivano mescolati. Inizialmente la ricetta si limitava a zucchero, ricotta rigorosamente di capra e pasta di pane, ma si arricchisce quando viene inventata la pasta reale o pasta di mandorle, detta anche Martorana perché inventata nel 1100 dalle suore di una chiesa palermitana chiamata appunto della Martorana, per decorare la chiesa con dolci a forma di frutto (che diventeranno tipici della festa di Ognissanti e saranno chiamati frutta di Martorana). In seguito, i dominatori spagnoli aggiungono cioccolato e Pan di Spagna e in epoca barocca viene introdotta la frutta candita come decorazione.

Tipici tra le tradizioni culinarie pasquali sono anche pupi cu l’ova, ciambelle a forma di agnello, colomba o altri simboli pasquali al cui centro viene posto un uovo con ancora il guscio. La simbologia dell’agnello sacrificale e dell’uovo è frequente nei dolci: abbiamo infatti un agnello fatto di pasta di mandorle, con lo stendardo della resurrezione, che si mangia anche in tutto il periodo precedente alla giornata di Pasqua. A Favara, in provincia di Agrigento, l’agnello è ripieno di crema di pistacchi.

L’arrustuta di Pasquetta

Una vera e propria istituzione della cultura pasquale siciliana è poi l’arrustuta di Pasquetta e le stigghiole, budella di agnello arrotolate intorno a un porro o una cipolla lunga e condite con sale e limone, in una ricetta di origine greca.

– Sardegna

Semplicità, genuinità e sapori antichi: queste le prerogative dei piatti chiamati ad imbandire la tavola sarda nel giorno di Pasqua. Un tripudio di sapori che delizia il palato e celebra la tradizione sarda in un giorno di festa. Chi volesse sbizzarrirsi e preparare un menù tipicamente sardo non avrà che l’imbarazzo della scelta, tanti e variegati sono i gusti e i piatti tipici della tradizione enogastronomica dell’isola. 

Si parte dagli antipasti: pomodori secchi, Pecorino Sardo, salumi e carciofi spinosi locali sott’olio si adageranno su un letto di pane carasau, il pane croccante in fogli sottili caratteristico della tradizione culinaria sarda.

A Pasqua in Sardegna si è soliti cucinare la Panada, piatto unicoa forma di ‘cestino’ di pasta ripieno di carne di agnello, carciofi e patate, cucinato anche nella variante con i piselli.

C’è anche quella a base di carne di maiale o di anguille, se si sceglie il menu di pesce. Mentre un altro primo piatto sempre molto gettonato è quello dei Culurgiones.

CULURGIONIS OGLIASTRINI

Culurgiònis o Culurgiònes sono senza dubbio il piatto più famoso della cucina tipica ogliastrina, originariamente preparati solo in famiglia, oggi rappresentano una delle maggiori realtà economiche nel campo della pasta fresca e nel panorama della gastronomia ogliastrina e sarda.

La semplicità degli ingredienti dei culurgiones, ne fa nel passato un piatto povero, appartenente alla cultura agropastorale della zona.

Per prima cosa si lessano le patate, si sbucciano e si schiacciano per bene. Alle patate si aggiunge dell’olio d’oliva o del grasso (in passato si usava il grasso di vitello o manzo fresco o dello strutto di maiale), del pecorino (fresco o stagionato), sale, menta e aglio a piacimento. La sfoglia può essere preparata con una miscela di farina e semola o di sola semola, questa viene impastata con un po’ d’acqua tiepida salata e chiusa pasta originando una spiga detta in sardo “sa spighitta”.

I culurgiones vengono cotti tramite bollitura e serviti classicamente con del semplice sugo di pomodoro e pecorino grattugiato.

E i secondi? Un’apoteosi di arrosti di carne, come vuole la tradizione sarda. L’agnello arrosto cucinato con lo spiedo, oppure al forno con patate o in umido, con cuori di carciofi spinosi, prezzemolo e un pizzico di zafferano, esistente anche nelle varianti con piselli e patate. Agnello e capretto sono cotti in diversi modi, per esempio i piedini vengono fritti.

Molto diffusa “sa Cordula“, una treccia fatta con le interiora dell’agnello. Si può mangiare infilata con uno spiedo e arrostita, oppure in umido con piselli (prisucci) e passata di pomodoro. Non manca il porceddu, il famoso maialino sardo.

E poi, dulcis in fundo: le Pardulas ovvero le formaggelle di ricotta, dolce tipico pasquale sardo. Si tratta di cestini di pasta con la forma di stella e un cuore di ricotta vaccina o di pecora, a seconda dei gusti, insaporito da zafferano e scorze di agrumi e decorate con una glassa impreziosita da praline colorate.

Spazio, quindi, al torrone di mandorle e miele – famosissimo quello di Tonara – Mostaccioli, dolci di forma romboidale a base di mandorle, cannella e Sapa, glassa dolcissima ottenuta dal mosto cotto. Ancora, le Sebadas, ravioli fritti farciti di formaggio fresco, limone e ricoperti di miele fuso.

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