Sara De Bellis

Mese: Agosto 2016

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È una delle manifestazioni più seguite ed attese del panorama nazionale. Richiama migliaia di visitatori, coinvolge chef sopraffini, celebri marchi e grandi produttori. Alla base di questo grande successo c’è un’idea semplice e affascinante: offrire a prezzi contenuti le portate speciali della ristorazione di qualità. Un approccio informale con l’alta cucina, che ogni anno si arricchisce di laboratori e salotti. E che, ancora una volta, sceglie l’Auditorium Parco della Musica di Roma come cornice per accogliere dal 15 al 18 settembre l’edizione capitolina della kermesse

“A Taste of Roma si parte per un viaggio alla scoperta di nuovi sapori e diversi stili di cucina – spiega Mauro Dorigo, organizzatore della manifestazione insieme alla sorella Silvia – che raccontano esperienze vissute nel mondo dagli chef protagonisti dell’evento. E allora sarà facile sperimentare abbinamenti che mai si potrebbero immaginare, difficili a volte da credere e da raccontare ma non da gustare. Per far vivere un’esperienza unica al visitatore poniamo massima cura in ogni dettaglio. I Taste Festivals, del resto, si propongono di far avvicinare il grande pubblico non solo all’alta cucina ma unendolo attraverso la condivisione di una passione”.

Non a caso Dorigo parla di festival, perché di “Taste Festivals” ne organizza ben tre. “Dopo Taste of Milano, tenutosi dal 19 al 22 maggio al The Mall, toccherà prima a Roma, dal 15 al 18 settembre e, successivamente, a Bologna per Taste of Christmas dal 25 al 27 novembre presso il Palazzo Re Enzo”, precisa Mauro.

Scontata la conferma della sede di Taste of Roma, che si terrà di nuovo presso l’Auditorium Parco della Musica. “I giardini pensili sono uno spettacolo per gli occhi e ci fanno avvicinare quanto più al concept da cui nascono i Taste Festivals, ossia una grande festa in cui si creano piatti di alta cucina nel verde”.

Tra i partner della nuova edizione, oltre ad Electrolux, Etihad, Esselunga e Molino Vigevano, troviamo Caffè Musetti e Trimani, celebre dinastia di vinai, attiva nella Capitale dal 1821, che cureranno il beverage. Non è stata ancora resa nota, invece, la lista definitiva degli chef e dei ristoranti che prenderanno parte alla manifestazione.

“La stiamo ultimando, ma soprattutto su Roma la squadra di chef è unica e ben assortita – rimarca Mauro – Ogni anno selezioniamo le migliori realtà cittadine (e non solo) cercando di andare incontro ai gusti del pubblico e stando attenti alle nuove aperture come pure ai rilanci”.

Tante le novità di questa nuova edizione romana che in tre giorni stupirà il pubblico di gourmet con effetti davvero speciali. Oltre alla degustazione di squisiti piatti “stellati” sono infatti molti gli eventi “collaterali“ previsti: Electrolux Chefs’ Secrets, Electrolux Taste Bakery, Electrolux Hospitality, Il Laboratorio con Molino Vigevano, il Charity Restaurant, le Invasioni al Caffè by Musetti e l’Area Kids. “Come sempre nell’Area Kids ci saranno laboratori gestiti da partner e collaboratori – riprende Dorigo – Uno spazio interamente arredato e ideato appositamente per tutti i bimbi dai 3 ai 10 anni nel quale potranno imparare, impastare, disegnare e giocare. Non mancheranno ovviamente il pranzo, la merenda, la cena”.

Per la prima volta a “Taste of Roma” il “Charity Restaurant”. “Il Ristorante sarà parte integrante del parterre dei ristoranti protagonisti – illustra ancora Dorigo e proporrà quattro piatti firmati da quattro fuoriclasse della cucina italiana, con piatti indicativamente a 6 sesterzi e uno a 10. L’iniziativa è supportata da un main partner d’eccezione, che sarà al fianco dei Taste Festivals italiani per tutto il 2016 e il 2017: Esselunga, la catena della grande distribuzione, presente soprattutto nel nord Italia con 154 punti vendita, che a breve entrerà nel mercato romano. Esselunga sarà quindi Official Food Partner, in quanto fornirà tutte le materie prime necessarie per la preparazione dei piatti e co-promotore dell’iniziativa benefica. Gli incassi di ciascuna delle quattro serate saranno devoluti ad alcune associazioni di beneficienza.”

Nelle cucine saranno presenti gli chef:
• Adriano Baldassarre (tordomatto)
• Alba Esteve Ruiz (Marzapane Roma)
 Alessandro Narducci (Acquolina Hostaria in Roma)
• Andrea Fusco (Giuda Ballerino – Roof Restaurant Hotel Bernini Bristol)
• Angelo Troiani (Il Convivio – Troiani)
• Cristina Bowerman (Glass Hostaria)
Daniele Usai (Ristorante Il Tino)
• Davide del Duca (Osteria Fernanda)
• Francesco Apreda (Imàgo all’Hassler)
• Giulio Terrinoni (Per Me Giulio Terrinoni)
• Heinz Beck (Ristorante La Pergola Rome Cavalieri)
• Roy Caceres (Metamorfosi restaurant)
• Stefano Marzetti (Mirabelle, Hotel Splendide Royal).

Caratteristica di Taste of Roma e dei Taste Festival in generale è il sistema di pagamento. L’unica valuta ammessa con cui pagare presso i ristoranti e i Wine Bar è infatti il “sesterzio”, corrispondente ad 1 euro. La formula per gustare l’alta cucina resterà invece invariata: 3 portate in formato degustazione realizzate da ogni ristorante con prezzi variabili tra i 5 e i 7 sesterzi , mentre per la quarta portata, che in questa edizione rappresenterà l’icona di ogni chef, il costo fisso sarà di 10 euro. Per accedere al menù, come ormai da prassi consolidata, basterà ricaricare la propria Card Sesterzi (consegnata all’ingresso) e usarla per pagare i piatti preparati dai grandi chef, i calici di vino presso i wine bar, il caffè e altre bevande. La Card Sesterzi è uno strumento ricaricabile a multipli di 5 sesterzi presso la cassa centrale all’entrata del festival e presso tutti i Wine Bar Trimani, posizionati a fianco dei ristoranti. Il biglietto di ingresso per accedere all’evento e partecipare a gran parte delle attrazioni è di 16,00 euro a persona (consumazioni escluse), con riduzioni per i più piccoli. È possibile acquistare i biglietti in prevendita su www.tasteofroma.it o su tutti i canali Ticketone.it.

 

GIORNI E ORARI

GIOVEDÌ 19:00 – 24:00
VENERDÌ 12:30 – 15:30 su invito e 19:00 – 24:00
SABATO 12:30 – 16:30 e 19:00 – 24:00
DOMENICA 12:30 – 16:30 e 19:00 – 24:00

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Intervista alla direttrice di Gustolab, una università dove si studiano e progettano nuovi modelli, servizi, prodotti e sistemi per le culture alimentari in continua evoluzione e per comportamenti più sostenibili

di Sara De Bellis (sara@mangiaebevi.it)

E’ giovane, brillante, spigliata, capace. Una donna forte ed indipendente, ottimista quanto basta per progettare e credere in un futuro migliore. Parliamo di Sonia Massari, Direttore Accademico dell’University of Illinois Urbana-Champaign Food Studies Programs, direttore di Gustolab International Institute for Food Studies, consulente scientifico per la Fondazione Barilla Center for Food and Nutrition. Nel 2012 ha vinto il premio internazionale “Le Tecnovisionarie WomenTech: Women Innovation” destinato a donne impegnate nell’innovazione in cibo e nutrizione e nel 2014 il NAFSA TLS KC’s Innovative Research in International Education Award. È stata poi Ambassador di WE Women for Expo2015. Ha un dottorato in Food Systems e Interaction Design, ha lavorato con diverse agenzie di educazione e comunicazione, con centri di ricerca direttamente collegati alla Commissione Europea, come ricercatrice, valutatrice e professore. Tra il 2005 e il 2007 è stata Visiting Professor a Montclair State University (NJ), ha insegnato a CUNY (NY) ed oggi la troviamo come docente alla “Scuola Politecnica di Design”, al “Master Food Design” e all’ “ISIA Design School” di Roma. Insomma un curriculum davvero niente male per Sonia, sempre più attiva come imprenditrice, educatrice e creatrice di nuovi network. Conosciamola da vicino.

 

Come nasce la tua passione per il design?

Dopo la laurea a Siena in Interaction Design ho deciso di lavorare nel campo della progettazione, della ricerca e della formazione e poi del marketing di prodotto. Ma l’interesse per la ricerca e quello che riguarda la parte cognitiva dei processi del design creativo, è rimasto. Così ho continuato a seguire progetti e ad ideare concept visionari. Con uno di questi ho vinto una borsa di studio ed ho avuto l’occasione di insegnare design presso una università negli Stati Uniti. Dopo questa magnifica esperienza di 2 anni, ho deciso di tornare in Italia e mi sono avvicinata al mondo del cibo, quasi per caso.

 

Come è avvenuto il passaggio da Design a Food Design?

In quel frangente mi stavo occupando di programmi per studenti statunitensi, quando ho conosciuto una organizzazione che stava nascendo a Roma e che aveva come obiettivo quello di unire la passione per il cibo degli studenti stranieri, con un tipo di ristorazione alternativa, fortemente legata alla qualità e al territorio. Ho iniziato a fare consulenze per loro – soprattutto per la comunicazione – e ho iniziato a studiare il cibo, in tutta la sua complessità. In quel periodo ho anche deciso di iniziare un dottorato in Ingegneria e Società dell’Informazione, per studiare come le nuove tecnologie digitali possono modificare il nostro rapporto col cibo e quindi influenzare i comportamenti alimentari. Studiando il cibo, lungo tutta la filiera, mi sono accorta di quante cose non sappiamo e di quanti cambiamenti stanno avvenendo nel mondo della produzione, distribuzione, ristorazione e della sostenibilità. Da consulente sono passata ad essere il direttore del primo centro per studi accademici dedicati al cibo in Italia. Un ambito di ricerca e studio perfetto in cui un designer può progettare e immaginare sempre nuovi scenari. Ho deciso quindi di applicare le mie conoscenze nel campo del design al mondo dell’agroalimentare. Non mi definisco una food designer, ma sono una ricercatrice nel campo del food e del design. Non mi sono mai fermata nel fare ricerca e la mia passione si è trasformata in un mestiere.

 

Puoi darci una definizione di “food design” e delle sue declinazioni?

Il food design è uno degli strumenti che vengono usati per definire il nuovo equilibrio tra cultura e territorio, produzione e consumo. Difficile dare una definizione univoca. Personalmente, invece di escludere alcune forme di design applicato al cibo dicendo “questo non è food design” preferisco sempre includere, cercando all’interno dei vari prodotti, servizi e sistemi, una cultura di progetto. Come ho spiegato durante il mio intervento a BeWizard (www.be-wizard.com) il food design non è solo la forma della pasta o il packaging di un prodotto. È un processo, una modalità di studio e ricerca, uno strumento per poter innovare. L’approccio che il design nell’agroalimentare utilizza è quello transdisciplinare e attraverso i progetti di design è possibile esaltare le creatività.

 

Quanto è importante il design nel food?

Il designer che progetta per l’agroalimentare deve ripensare alla complessità delle produzione lungo tutta la filiera e produrre una sostenibilità ambientale, economica, sociale e anche sensoriale. Oggi la sfida per un food designer è permettere all’uomo di riappropriarsi di un rapporto con il cibo. Ricondurlo alla sua dimensione culturale. Saper progettare vuol dire basarsi sulle persone e sui valori umani. Per questo motivo si dice che il design utilizza metodi di ricerca sempre più “human value centered” per rispondere alle esigenze e fornire proposte e soluzioni.

 

Dove è orientata la nuova “progettazione del cibo”?

Il design oggi non è chiamato solo a progettare interazioni e a supportare esperienze, ma sempre più spesso deve risolvere le crisi di identità culturale, provocate dall’incertezza e dalla continua ricerca di valori in cui viviamo. Le comunità di consumatori di domani hanno bisogno di nuove mediazioni culturali, flessibili e diverse. Lo stesso vale per i ristoratori che nel futuro prossimo dovranno rivedere i propri sistemi di produzione, distribuzione e comunicazione del mondo occidentale. Senza contare quello che il design potrebbe fare nelle situazioni di emergenza e di “problematiche legate al cibo”. Le potenzialità del design sono innumerevoli e senza dubbio potrebbero risolvere molti di quelli che oggi chiamiamo paradossi del cibo (malnutrizione, sistemi di produzione sostenibili, spreco alimentare e accesso al cibo).

 

Il food design ha anche una vocazione formativa ed educativa?

Assolutamente sì. Non c’è un manuale di food design. Per applicare il design al mondo del cibo, è necessario fare tanta ricerca e cercare di studiare gli scenari e i contesti utilizzando lenti diverse, che provengono dalle diverse discipline. Credo nelle forme di co-design e nel design collaborativo (gruppi eterogenei e con diversi background possono lavorare assieme e fornire i risultati migliori). L’interesse per il cibo è aumentato e sono comparse le prime scuole dedicate ad esso. Venti anni fa a New York nascevano i Food Studies, alla facoltà di nutrizione di NYU. Per la prima volta si inserirono dei corsi di cultura e storia, all’interno di curricula di nutrizione. Poi più avanti vennero aggiunti corsi di agricoltura, di comunicazione, ecc. Oggi quasi tutti le università statunitensi hanno un dipartimento o un corso di food studies. E questo trend sta arrivando anche in Europa.

 

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Parlami di Gustolab.

Gustolab International Institute for Food Studies è nato quasi 10 anni fa, nel 2007, ed è stato il primo centro di studi accademici e di ricerca sui temi del cibo in Italia e a Roma (Food Studies), dedicato a studenti stranieri. I nostri corsi di studio coprono in maniera allargata i Food Studies: dalla storia del cibo alla chimica dei processi di produzione, dall’analisi critica dei sistemi del cibo allo studio delle culture alimentari, dall’agricoltura sostenibile all’architettura degli spazi legati all’alimentazione, dalla nutrizione alla psicologia, dalla comunicazione al design e la progettazione dei sistemi cibo, solo per citarne alcuni. Gustolab International Institute for Food Studies offre una formazione universitaria sui temi legati all’alimentazione, promuove il pensiero critico e il sapere transdisciplinare e multiculturale. Dal 2008
ad oggi ho progettato e sviluppato oltre 40 programmi di studio, con oltre 1000 studenti coinvolti. Gustolab rappresenta l’Università di Illinois at Urbana-Champaign e Hobart and William Smith Colleges in Italia. Collaboriamo attivamente con più di dieci Università internazionali, per lo più statunitensi.

 

A chi è diretto Gustolab?

Partecipano studenti stranieri – per lo più dal Nord America – che stanno svolgendo un percorso di studio sui food studies. Ma in realtà ospitiamo spesso anche “Scholars”, esperti e professori che vogliono fare ricerca.

 

Come sono strutturati i corsi?

I corsi sono molto pratici. A seconda della materia includono sempre una serie di lezioni in classe, ma soprattutto visite, laboratori sensoriali, classi di cucine tematiche, laboratori di produzione, sessioni dedicate all’agricoltura
e al design. Gli studenti hanno la possibilità di lavorare con i professionisti del settore e di conoscere la cultura italiana enogastronomica attraverso diverse discipline ed esperti. Roma e il territorio italiano sono il nostro laboratorio di ricerca e studio.

 

Quali opportunità offre il mondo del lavoro in questo settore?

I nostri studenti saranno i futuri esperti del cibo. Potranno lavorare nelle aziende, nelle municipalità, nella ristorazione, nel marketing o nella produzione (sia agricola che industriale). Noi insegniamo loro ad acquisire un approccio critico verso il cibo. Ci aspettiamo da loro una trasformazione in action, in grado di poter migliorare quelle che sono oggi le condizioni dell’agroalimentare. I nostri studenti saranno i futuri giornalisti, i futuri policy makers, i produttori e manager del cibo. Ci aspettiamo da loro che manterranno e miglioreranno i metodi di ricerca che noi gli insegniamo. Loro stessi saranno a loro volta degli educatori, speriamo, motivati e consapevoli.

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