Sara De Bellis

Mese: Maggio 2019

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Ispirazione creativa, accostamenti arditi, tecnica intelligente, impatto visivo, texture, sapore a tinte forti e poi la terra, tanta terra. Questo è l’approccio “dritto al piatto” di Davide Del Duca, Chef di “Osteria Fernanda”, bistrot contemporaneo in quel di Porta Portese a Roma

“Sedano rapa dimenticato nel whisky, senape fermentata e dragoncello. Risotto, estratto di erbe, conciato di San Vittore, timo e miso. Spaghetti, melanzana bruciata, gambero rosso e pistacchi. Lingua, topinambur, tarassaco e caramello d’aglio. Anguilla, riso acido, rape al bitter, spuma di aglio nero, birra e tuberi. La mia cucina è sostanzialmente terra, radici, prodotti di alta qualità, tecnica e passione”.

Faraona, salsa di fieno greco e goji servita con polvere acetosella e tartufo nero

I suoi maestri sono stati Enzo Frassanito al Convivio Troiani* (RM), Graziano Ballerano al Veste di Tivoli (RM), Cristina Bowerman al Glass Hostaria* (RM) e  Adriano Baldassarre al Tordomatto di Zagarolo (RM).

Da ognuno di loro ha appreso qualcosa: “da Enzo la tecnica e la capacità di saper gestire qualità e rapidità di servizio, da Cristina la creatività che guarda all’estero, da Ballerano, toscano e grande conoscitore della materia prima, le tecniche e le fermentazioni, da Adriano il concetto che la creatività possa legarsi alla tradizione tramite il gesto tecnico”.

Oggi è Salvatore Tassa (Colline Ciociare, Acuto – FR) ad incarnare il suo ideale di cucina, parlandone in questi termini: “Tassa riesce ad esprimere un concetto di terra, creativo e concreto allo stesso tempo. Partendo da materie prime povere riesce e creare un piatto identitario, solo suo, che non può essere riconducibile a nessun’ altro stile. L’espressione dell’essere umano e la sensibilità è talmente accentuata in lui, che si legge chiaramente in ogni suo piatto”.

Davide, come celebri “la terra” nella tua cucina?

All’estremo. Stiamo cuocendo dentro la terra, con tutte le dovute cautele, ovvio, ci cuociamo la carne, le verdure e lavoriamo molto il sottosuolo come radici, sia fermentate che fresche. Il sedano rapa è di per sé un piatto che rappresenta il nostro stile, che subisce una metamorfosi nella consistenza, nel sapore, nelle componenti aromatiche, nel colore, fino a diventare quasi carne. Quindi lo rosticciamo e poi assembliamo gli elementi fermentati, che è una nostra cifra stilistica, entrata nella nostra cucina circa 4 anni fa”.

Secondo te, in una società liquida come la nostra, cosa cerca il cliente a tavola?

“Il cliente si è stancato di fare da cavia per esperimenti impossibili pagando conti molto salati e passando delle seratacce. Se tu proponi al cliente una cucina concreta, tradizionale e creativa, che valorizza le materie prime e le rende riconoscibili, il cliente non fa questioni di prezzo ed esce appagato”.

@photocredit https://www.scattidigusto.it/notizie/roma-isola-open-kitchen-scuola-trastevere/

Quali sono le caratteristiche dello chef contemporaneo?

“La figura del cuoco si sta evolvendo, lo Chef è sempre più imprenditore rispetto al passato; l’altra faccia della medaglia è che è uno chef che sta poco in cucina e tante cucine, per questo, sono “ferme”.

Cosa pensi del sistema mediatico applicato alla ristorazione? E della parola “chef”, decisamente inflazionata?

“C’è troppa corsa al voler raccontare per primi delle realtà che invece devono avere il tempo di crescere.

Oltre la gerarchia stabilita dalla capacità di ognuno, sentirsi chiamare “chef” a 23, 25 anni significa non conoscere tutto il duro percorso, i procedimenti, tutti processi che ci sono dietro. Vedo tante realtà che non sanno utilizzare i prodotti e che li maltrattano, con accostamenti forzati e poco rispetto della materia prima”.

Tanta Terra ma anche Mare nel menu di Primavera 2019 di Davide Del Duca, come nella sua “IMPEPATA”: spuma di acqua di cozze pelose, maionese di bottarga, granita di salicornia, rosmarino e finocchietto di mare, acqua di ostriche e meringa salata di panko

Cosa pensi della “corsa alle stelle”? Quanta differenza fa la Stella rossa fuori la porta?

“La Michelin fa ancora oggi la differenza. La stella per un cuoco è molto importante, è quasi un premio alla carriera. Se indossi la giacca da chef la stella la vuoi, però ci sono troppi cuochi che lavorano per la stella e pochi che lavorano per il cliente, e se lavori per la stella il ristorante ce l’hai vuoto, se lavori per il cliente il ristorante ce l’hai pieno”.

Quanto “costa” una Stella?

Tanto, come investimento, come ore di lavoro, come risorse umane, come materie prime”.

Lo Staff di Osteria Fernanda, l’accoglienza di Manuela Mengoni (in basso a destra) e la competenza di Andrea Marini per la selezione delle etichette (in basso a sinistra)

Guardando questo mondo enogastronomico con gli “occhi di Chef” quali sono in Italia gli eventi che funzionano?

“Gli unici eventi che hanno un senso sono quelli che riescono a coinvolgere l’utente finale, ovvero il pubblico interessato. A Roma si fa poco, a Milano Identità Golose funziona, al sud LSDM; sono tutti eventi che vogliono trasmettere qualcosa, un contenuto”.

In cosa credi siano utili?

“Pluralità di contatti, confronto di cucina, crescita. Io ricordo una bella esperienza con Lele Usai durante un cooking show a 4 mani. Io avevo creato una piadina senza farina e uova, con le proteine della cozza; lui mi insegnò i bilanciamenti sottovuoto per cambiare la consistenza al tonno: in quel momento c’è stata fusione. Ecco, se vai agli eventi con quella testa, serve. Quella per me è stata crescita. Ho imparato da lui una tecnica che mi porto dietro e che è mi è servita nel tempo”.

Raviolo liquido, piatto storico di Osteria Fernanda, rivisitato nel menu 2019 e servito assieme alla tartare di carne, spuma di parmigiano e porro fermentato.

Sei geloso delle tue scoperte in cucina?

“Non serve a niente essere gelosi di scambio tecnico e di conoscenze, non serve a niente perchè qualcuno ce le ha insegnate”.

Esiste una “scuola di pensiero di cucina contemporanea” in cui uno “chef creativo” possa identificarsi o attingere?

“Non ancora. Con la tradizione importante che c’è in Italia, se i cuochi fossero meno prime donne e riuscissero a fare gruppo, non ci fermerebbe nessuno. Così come ha fatto la Spagna, che su Ferran Adrià ha creato un sistema di cucina che detta legge ancora oggi in materia di sperimentazione”.

Ristorazione si, ma anche tanti progetti paralleli che ti vedono chef associato JRE-Jeunes Restaurateurs Italia dal 2017, membro dell’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto, docente, consulente e adesso socio, assieme a Bruno Settimi e Susanna Sipione, di un progetto che punta sulla sperimentazione e sulla qualità, dimmi di più.

“Si, ISOLA – OPEN KITCHEN, è il primo spazio polifunzionale all’interno di showroom di cucina a via Mameli (Trastevere) nato con lo scopo di contribuire allo sviluppo delle future tendenze del mondo Food attraverso un’interpretazione innovativa che risponda alle esigenze di un mercato in rapida evoluzione senza tuttavia rinunciare al fascino della tradizione e al desiderio di vivere la grande cucina italiana in modo autentico. ISOLA, è infatti uno spazio di design e di grande valore tecnologico, un propulsore di idee da mettere in moto tramite workshop, show-cooking, corsi di cucina amatoriali, ma è anche un luogo adatto a cene private, piccoli eventi e degustazioni. In qualità di consulente invece “Vinea” e “Voia” sono due progetti diversi e definiti che mi stanno portando tanta soddisfazione: il primo è un piccolo bistrot a vocazione gourmet a Montesacro, l’altro un polo gastronomico a 360° aperto dall’aperitivo del pranzo al dopocena, passando per il banqueting. Poi tanti altri progetti, ma tutti in fase di costruzione. “

Quale dei tuoi piatti in menu rappresenta di più questa primavera 2019?

“La Dark Citron potrebbe essere il piatto simbolo di questa primavera nera che tarda ad arrivare. E’ una rivisitazione della “Dark citron” classica, con un pò di tecnica in più: oltre al biscotto nero, il nome DARK deriva infatti dai limoni che abbiamo fatto fermentare per un mese ottenendo limoni neri con un gusto e un’acidità diversi dal solito.”

Info utili

Osteria Fernanda

Via Crescenzo del Monte 18/24, Roma

Tel: 06 5894333 // +39 347 445 9593

Mail: osteriafernanda@libero.it

Sito

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L’Istituto di Cultura Coreana, dal 22 al 25 maggio, ospiterà Jeong Kwan, cuoca e monaca buddista interprete del suggestivo legame tra cucina vegana coreana e filosofia buddista

È l’insolita protagonista della terza stagione televisiva ‘Chef’s Table’ su Netflix, è una monaca buddista di Seon, nella Corea del Sud; vive nell’eremo di Chunjinam nel Tempio Baegyangsa dove cucina per altri monaci e per i visitatori occasionali, non possiede un ristorante e non ha una formazione culinaria formale ma con il suo stile di cucina è riuscita ad influenzare chef dal calibro di René Redzepi, del Noma di Copenhagen, nonostante ciò continua a definirsi un’esecutrice e non una chef: per chi (ancora) non la conosce, il suo nome è Jeong Kwan che, ospite dell’Istituto Culturale Coreano, dal 22 al 25 maggio 2019, farà conoscere i segreti della cucina buddista attraverso una serie di appuntamenti romani rivolti al pubblico.

Cucinare – nelle parole della religiosa Jeong Kwan- è un atto di nuova creazione che si svolge secondo la propria energia e capacità, è il creare qualcosa dal nulla. Il cibo, una volta mangiato ed entrato al mio interno perde la sua forma ma ne ritrova un’altra. Durante questo momento se tutti danno il proprio meglio e cercano di svuotare la propria anima riescono a creare un collegamento fra loro e riescono a dialogare”.

https://www.eater.com/2017/2/18/14653382/jeong-kwan-buddhist-nun-chefs-table
https://www.nytimes.com/2015/10/16/t-magazine/jeong-kwan-the-philosopher-chef.html

Jeong Kwan è cresciuta in una fattoria e ha imparato a fare le tagliatelle a mano all’età di 7 anni. È scappata di casa a 17 anni e due anni dopo si è unita a un ordine di suore Zen, dove ha scoperto la sua chiamata a diffondere il Dharnma o buddhadharma (dharma del Buddha, cioè il suo insegnamento) attraverso la cucina.

Fondamentale per i buddisti, è infatti il “Baru-Gongyang”, ossia il “mangiare meditativo” tipico dei luoghi monastici il cui nome deriva dalle quattro ciotole di legno di diversa grandezza denominate baru utilizzate per accogliere il cibo.

Quando monaci e monache sentono i tre rintocchi di jukbi (uno strumento di bambù) giungono le mani e inclinano il capo. È il momento di preparare le baru per ricevere il cibo nel seguente ordine: acqua, riso, brodo e verdure e di intonare i canti che accompagnano ogni stadio del pasto, lì dove “mangiarenon è solo nutrirsi ma un modo per riflettere sull’origine del cibo, di essere grati alla natura nonché, alla terra, e alle persone che la lavorano secondo i suoi dettami.

https://www.tsingapore.com/article/life-after-netflix-buddhist-chef-table-jeong-kwan

La cucina templare di Jeong Kwan si basa in primis sul cibo rituale consumato con i monaci più anziani la prima volta che si fa ingresso al tempio, poi, sui prodotti che lei stessa reperisce con mani nel suo orto; poi ancora su quelli codificati dalla capacità di favorire riflessione e crescita spirituale.

Per le sue ricette usa melanzane, pomodori, prugne, arance, zucca, tofu, basilico, peperoncino e altre verdure seguendo i ritmi delle stagioni e portando avanti la millenaria cultura culinaria dei templi buddhisti in Corea nonché i dettami della cucina contadina tradizionale.

Oltre ad essere squisitamente vegane, tutte le preparazioni omettono aglio e cipolla, ingredienti che alcuni buddisti credono possano suscitare la libido e/o distrarre dalla meditazione, ma non solo per questa ragione. Il cibo del tempio fa infatti riferimento alla dieta che aiuta i monaci nelle loro pratiche di ascetismo, basate, secondo gli insegnamenti del Buddha, sull’astinenza da ingredienti specifici come per esempio da cinque vegetali acidi (aglio, scalogno, erba cipollina, cipolla e porri) e dalla carne, da sostituire con ingredienti naturali di stagione. È infatti noto che piatti a base di alimenti conservati e fermentati, che possono essere consumati per un lungo periodo di tempo, come il kimchi, lascino un senso di saggezza e benessere.

https://www.nytimes.com/2015/10/16/t-magazine/jeong-kwan-the-philosopher-chef.html

Promuovere la cultura coreana in Italia è il prezioso intento dell’Istituto Culturale Coreano e la Cucina rappresenta da sempre un accesso privilegiato per conoscere da vicino nuove culture, questa volta attraverso una serie di appuntamenti unici che si pongono l’obiettivo di portare alla ribalta la cucina templare di Jeong Kwan, considerata tra i migliori chef vegani e zen al mondo.

Gli appuntamenti con la monaca Jeong Kwan organizzati dall’Istituto Culturale Coreano

Per il pubblico

In occasione dell’arrivo della chef monaca Jeong Kwan, l’Istituto Culturale Coreano ha programmato il “Temple Stay”, una serie di appuntamenti rivolti al pubblico. Il primo incontro, dal nome ‘Temple Food’, è previsto per mercoledì 22 maggio dalle 18.30 alle 20.30 (prenotazione obbligatorio scrivendo a info@culturacorea.it) presso l’aula di Cucina dell’Istituto Culturale Coreano in via Nomentana 12 a Roma, sarà possibile partecipare a una lezione speciale di cucina dei templi buddisti. Prima delle lezioni di cucina, dalle 14 alle 18, si potrà prendere parte a dei piccoli laboratori artigianali (non necessita di prenotazione, fino ad esaurimento kit) per realizzare fiori di loto in carta, uno dei simboli più iconici del Buddismo, e stampe di incisioni di simboli e iscrizioni buddisti.

La Cerimonia Barugongyang è l’altro appuntamento fissato per venerdì 24 maggio dalle ore 12.00 alle ore 14.00 (prenotazione obbligatoria scrivendo a info@culturacorea.it) al Grand Hotel Palace di Roma (via Vittorio Veneto 70). Jeong Kwan guiderà i partecipanti nell’esperienza del “Barugongyang”, il rituale sacro con cui si mangia con gratitudine nei templi buddisti.

I posti per entrambe le attività sono limitati, per informazioni è possibile consultare il sito.

PS: Barugongyang è un pasto monastico formale in cui le persone mangiano da a “baru” (una ciotola di legno). Riso, zuppa, contorno e acqua sono collocati in una serie di quattro ciotole in diverse dimensioni con la giusta quantità di cibo che può essere mangiato fino alla fine. La chiave per il baru-pasto è “prendere solo ciò di cui si ha bisogno”.  Il pasto di Baru è uno dei modi di mangiare più rispettosi dell’ambiente perché lo fa senza produrre alcun residuo dannoso per l’ambiente. Anche l’acqua che tutti si lavano via le ciotole con sono pulite. Non c’è spazio per i batteri perché crescono le ciotole Le ciotole e gli altri utensili vengono lavati immediatamente dopo ogni pasto ed asciugati al sole. I pasti dei monastici buddisti sono un parte importante della pratica monastica. Il significato contenuto nel barugongyang è  ben rappresentato nei versi cantati in ogni fase del pasto.

ISTITUTO CULTURALE COREANO

Inaugurato nella Capitale nell’ottobre del 2016, sito in via Nomentana 12, l’Istituto Culturale Coreano di Roma – il più grande in Europa – si occupa di rafforzare i rapporti e la cooperazione tra la Corea e l’Italia. Tra le tante iniziative in programma dall’Istituto nel corso dell’anno, la più nota è la Korea Week realizzata in collaborazione con l’Ambasciata della Repubblica di Corea in Italia. Una settimana dedicata alla Corea, nel corso della quale artisti, esperti di cultura e celebri personaggi della penisola coreana arrivano in Italia per approfondire ogni giorno un tema diverso e diffondere così la conoscenza, gli usi e i costumi della Corea.

Info utili

Istituto Culturale Coreano

Via Nomentana 12, Roma

Sito internet

Email: info@culturacorea.it

Pagina Facebook

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Dodici anni di All’Oro e una nuova fiabesca residenza per Tailor Suites & Tailor Cuisine

24 aprile 2007 – 24 aprile 2019: All’Oro Restaurant ha da poco compiuto 12 anni. 12 anni vissuti intensamente tra esclusive location, intuizioni, piatti memorabili e format collaterali realizzati con passione quotidiana. Loro sono Riccardo Di Giacinto e Ramona Anello, coppia nella vita e sul lavoro, un binomio vincente che tiene ben salde le redini di Cucina, Sala e Famiglia.

Riccardo di Giacinto e Ramona Anello

Una famiglia con una visione lucida delle cose, complementare e lungimirante, con un obiettivo a cinque stelle che ha preso residenza in un signorile palazzetto a pochi minuti di Piazza del Popolo (Roma), il quale, dopo 15 mesi di minuzioso lavoro, ospita oggi al suo interno un Boutique Hotel davvero esclusivo: il The H’All Tailor Suite.

The H’All Taylor Suite – Facciata

Tailor, da sarto in inglese, sartoriale appunto, perchè immaginato nei minimi dettagli per soddisfare esigenze e capricci di ogni fortunato ospite delle quattordici spaziose suite tutte differenti l’una dall’altra ed impreziosite da artigiani ed artisti, con arredi di pregio, comfort innovativi, letti e vasche King Size, e persino una “Carta dei Cuscini”.

Ma il The H’All è anche, e soprattutto, la nuova “casa” di All’Oro, un progetto culinario performante che mette a fuoco i dettagli nel piatto con la stessa cura riposta ai dettagli dell’albergo, perchè al centro dell’immaginario c’è sempre e comunque il cliente da coccolare, al quale Chef Di Giacinto, Ramona e lo staff propongono un’ampia gamma di occasioni di gioia e gratificazione, dalla Colazione fino al contemplativo Rhum & Sigaro, chiaramente, attraverso una cucina con la “C” maiuscola, da cui lasciarsi conquistare.

La cucina di All’Oro infatti si accomoda e viene servita abilmente dallo staff di sala ai bei tavoli di due ricercate stanze: una di contemporaneo design, giocata sui toni dorati dell’ottone con le lampade sottili, le sedute di velluto blu petrolio, le pareti nude e satinate; l’altra sala volutamente più intima, con il camino e un’atmosfera di salotto english, poggiaborse a scomparsa, luce regolabile per quantità ed angolazione che definiscono un ambiente regale nella sua essenzialità.

Qui la tanta attenzione alla forma coincide, fortunatamente, con tanta sostanza, che va dai grandi classici alle derive innovative fino ai menu completamente vegani e piatti gourmet per celiaci che lasciano l’ospite libero di spaziare e decidere in autonomia il proprio percorso degustazione

Rocher di coda alla vaccinara con gelee di sedano

Piatto simbolo di questo percorso è sicuramente il Rocher di coda alla vaccinara con gelee di sedano, inossidabile e richiestissima signature dish dello Chef Di Giacinto: “Amo creare nuovi piatti, la mia testa non riposa mai, ogni mese cambio qualcosa dal menu, ma il Rocher non esce mai dalla carta, da ben 12 anni.”

Di cosa si nutre uno Chef, Patron e adesso pure Albergatore?

“Di feedback positivi, di sorrisi, complimenti, di una clientela affezionata che ti dice “grazie”: ci nutriamo di questo”.

Grande esperienze estere al fianco di celebri cuochi come Ferran Adrià e Marco Pierre White, quattro anni in Inghilterra, quattro in Spagna, uno in Cina e tanta Italia: la lezione di cucina più importante da chi l’hai ricevuta?

“Da tutte le esperienze ho imparato qualcosa. Nelle cucine di El Bulli con Ferran Adrià per esempio ho appreso le grandi tecniche, a Londra, da Marco Pierre White, ho imparato la gestione, l’organizzazione della cucina, la disciplina e il sistema di lavoro. Oppure dall’esperienza fatta con la famiglia Iaccarino ho portato via i profumi della cucina campana e la bellezza di un grande ristorante gestito da tutta la famiglia e poi, un’esperienza che tengo stretta nel cuore è quella nel Ristorante San Rocco a Monterotondo, il mio paese di origine”.

La Cantina

Passione, pazienza e tenacia; qual è l’ingrediente segreto per la costruzione di un progetto vincente?

“Tutti noi possiamo fare grandi progetti ma per ottenere grandi risultati è necessario rimanere sempre in prima linea per un rilascio continuo di stimoli, per dare l’esempio e trasmettere tutta la passione. Non so se esiste l’ingrediente segreto credo più in una combinazione vincente di ingredienti. Alla passione, alla pazienza e alla tenacia aggiungerei i sacrifici, l’umiltà e il lavoro di squadra. L’equilibrio di tutti questi “ingredienti” è il segreto per un progetto vincente”.

Qual è il perno attorno cui ruota la tua cucina?

“Rispetto del Gusto (RDG è “Rispetto Del Gusto”, oltre che Riccardo Di Giacinto) è la mia filosofia perché io non mi accontento e cerco sempre di trovare un senso dietro al piatto anche nel suo aspetto ludico. E poi concentrazione del sapore, pulizia del gusto, non cuciniamo per stupire però, se riusciamo ad emozionare con una cosa buona, la sera andiamo a letto felici”.

Come celebri la Primavera nel tuo nuovo menu?

“Celebriamo tutte le stagioni, con la primavera nella fattispecie abbiamo un trionfo della “vigna” e dell’orto e quindi cerchiamo di usare e esaltare i prodotti di questa stagione”.

Ho avuto il piacere di notare una sala protagonista, il ritorno del carrello, il piatto finito ed impiattato dal cameriere: quanto conta la Sala in un Ristorante e perché la cucina non cede alla sala quanto potrebbe?

Responsabilità e protagonismo: al centro dell’attenzione c’è il cameriere che si sostituisce allo Chef. Facciamo tanti discorsi per riportare la sala in auge, ma se noi cuochi continuiamo a fare tutto in cucina è normale che alla sala rimane il ruolo minore. Deve essere invece un lavoro complementare e parallelo, anche perché, oltre ai piatti che possono essere finiti in sala, una cucina che fa ricerca ti permette di arrivare con orgoglio dal cliente”.

La tua è una cucina protagonista, ricca di invenzioni stilistiche, in cui non si smette di sperimentare piatti nuovi ma si mantiene fede ai cavalli di battaglia come il Rocher di Coda alla Vaccinara, il Lamb’urger, il Susci, il Tiramisù di Baccalà e Patate con Lardo di Cinta Senese, quali sono i tuoi piatti 2019?

“Passione soffritto: sedano, carota, cipolla la base della cucina italiana, tutti gli ingredienti proposti in varie consistenze a cui aggiungo un tocco di freschezza, una nota esotica con l’utilizzo del passion fruit”.

“Un altro piatto è il “Bottone al Blu del Monviso, Trombette della Morte e Cioccolato Bianco” che rispecchia la mia personalità con un gioco di contrasti e gusti molto decisi”.

A novembre del 2010 “All’Oro” conquista una stella Michelin, da gennaio 2011 fai parte dei Jeunes Restaurateurs d’Europe; quale di queste due tappe ti rappresenta di più?

“Sono due obiettivi completamente differenti. La conquista della Stella Michelin è stato il primo grande riconoscimento, il primo grande successo paragonabile un po’ agli oscar nel mondo dello spettacolo. E’ un premio che porta visibilità e riconoscibilità a livello internazionale”.

“Entrare a far parte della famiglia JRE è stato un altro grande traguardo, un obiettivo che ci inorgoglisce in egual modo soprattutto perché l’ingresso nell’associazione dei giovani ristoratori d’europa è dettata dal giudizio dei colleghi cuochi e non da giornalisti o ispettori del settore. Anche esser parte di questa famiglia porta visibilità e riconoscibilità ma più a livello nazionale ed europeo”.

A distanza di nove anni dalla prima stella, cosa pensi del metodo di valutazione della Guida Michelin?

“Non ho mai lavorato per le medaglie, stelle, cappelli, forchette e guide, lavoro per il tavolo, per far star bene le persone. Lavoro per creare un ambiente in cucina e in sala armonioso. Per me è importante avere il ristorante pieno, pagare gli stipendi a fine mese e che i conti tornino, poi se la seconda stella arriva brinderemo, in cantina qualche bottiglia buona credo di averla”.

Foto di Copertina: Stefano Segati // @photocredits Andrea Di Lorenzo

Info utili

The H’all Tailor Suite

Via Giuseppe Pisanelli 23/25

Tel: +39 0632110128

Fax: +39 063235501

Sito

E-Mail: info@thehallroma.com

Ristorante All’Oro

Tel: +39 069799 6907

E-mail: info@ristorantealloro.it

Sito

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Dolcetti e dorayaki salati, ricercati tè, birre artigianali e sakè tradizionali, debuttano domani nel quartiere Ostiense in formato take away per la gioia di tutti i “Golosi di Giappone”

Sono tra i dessert Giapponesi più amati, sono preparati come due piccoli pancake uniti tra loro dall’anko, una purea di fagioli rossi azuki; in Italia sono diventati popolari tra le generazioni targate ‘80 grazie al manga Doraemon (l’azzurro gatto spaziale con un “Ciusky sempre in tasca”) che ne mangiava in quantità, ma la leggenda, quella vera, narra che siano stati inventati da un umile contadino il quale, ispirato da un gong dimenticato nella sua dimora da un Samurai, preparò un dolcetto tondo arricchendolo con ciò che aveva in casa; sono i DORAYAKY.

Dorayaki Roma
https://www.grandchef.net/magazine/dorayaki-giapponesi

Pur trattandosi di una preparazione antichissima, la forma attuale a doppio disco farcito fu definita in seguito dal pasticciere Ueno Usagiya nel 1914, così come il suo nome, “Dorayaki”, che deriva proprio dal gong, strumento musicale che in lingua giapponese è chiamato “dora” e da “yaki” significa invece “cucinare”, e che solitamente individua i cibi cucinati su piastra.

Dorayaki, la cottura su piastra

Ma è grazie a Kayoko Tokumoto (nell’immagine di copertina) imprenditrice ed appassionata di cucina che i Dorayaki beduttano domani a Roma in versione dolce originale, salata e fusion, pronti a conquistare i palati capitolini a colpi di fantasiose farciture e gusti. Kayoko infatti, che li prepara fedelmente da dieci anni nella sua pasticceria artistica Mme Kiki (nella regione di Kobe), con il sostegno ed amicizia di Akira Yoshida (di Akira Ramen Bar e Leo’s Gyoza Factory), è riuscita a ricreare un angolo di Giappone nel quartiere Ostiense, rosa come i caratteristici fiori di ciliegio, portando con sé le suggestioni della pasticceria e della gastronomica nipponica.


Domani, 11 Maggio 2019, dalle 12 alle 20, Dorayaki aprirà dunque le porte del suo piccolo laboratorio di prelibatezze giapponesi da portare con sè o da mangiare sul posto inVia del Porto Fluviale 3E. Ci sforziamo di essere migliori ogni giorno perchè ogni scelta che facciamo influisce sulla salute del pianeta, tutto è connesso”, così dice Kayoko la quale, nel rispetto della sostenibilità e per poter far conoscere ed apprezzare i suoi Dorayaki da tutti, ha deciso di prepararli con farina di riso BIO, senza glutine e senza grassi, scegliendo solo ingredienti naturali e di primissima qualità.

Ma la verà novità consiste nella Carta dei Dorayaki che, oltre alle proposte dolci con i tradizionali Azuky o gelato al Tè matcha, Ricotta e Yuzu, Tiramisù e Gocce di cioccolato, annovera il Dorayaky Sandwich: l’unico e primo DORAYAKI salato al mondo. La selezione e le ricette inventate per farcire questi due dischi di soffice pasta (simile ai più noti pancakes) è piuttosto curiosa e va dallo TSUNAMAYO, con tonno, mais, formaggio, insalata, maionese e sesamo bianco al POTESALAMI, con un’insalata giapponese di patate, carote e cipolle, salame e pomodoro; dal VEGGY ETNICO con broccolo, carote, insalata mista e salsa sweet chili all’AVOCADO MISO con Avocado, Miso, philadelphia e edamame; dal ROMANO con prosciutto cotto, scamorza, pomodoro secco ed insalata fino al più tipico KARAAGE con il tradizionale pollo marinato in salsa di soya impanato e fritto, cavolo, pomodoro, maionese, shichimi (anche noto come peperoncino dei sette sapori, ovvero una miscela di spezie tipica delle cucina giapponese).

L’offerta è ampia per questo punto vendita strategico in una delle zone più pop di Roma che, oltre ai dolcetti, tutti monoporzionati in packaging compostabili, offre birre artigianali e sakè tradizionali, cocktail di sakè e ricercati tè: “la coltivazione del nostro tè “CHAKIKI” si concentra nel territorio di Nara – continua K. – una regione in cui la storia e la cultura sono profondamente intrecciata alle foglie di tè che vengono lavorate con metodo naturale”.

Aperto dalla mattina alla sera DORAYAKY vi aspetta anche per un aperitivo con piccolo buffet di insalate, edamame, karaage. Per gli Otaku di turno (appassionati di manga e anime), sappiate che è anche l’unico punto vendita in tutta Europa abilitato ad utilizzare il disegno originale di  DORAEMON per caratterizzare i suoi / vostri Dorayaki. Non vi resta che chiamare gli amici (otaku, semi-otaku o non) e, da domani, andare a provare.

Info utili

DORAYAKI- DOLCEZZE GIAPPONESI

Via Del Porto Fluviale 3E – Roma Ostiense

Telefono: 3208403404

Mail: dorayakisrl.italy@gmail.com

Sito

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Il Raito di Vietri: un rifugio di costiera tra limonaie, azzurri panorami e cucina mediterranea haute couture

Viaggio consigliato: 2/3 Giorni

Maggio. L’aria si fa indulgente e, capace di perdonare ogni anno l’inverno, porta con sé il profumo del mare, quello del vento, la voglia di sabbia sotto le dita, di cieli tersi e di sole abbagliante. Allora si controlla il calendario, si individuano quei due-tre giorni strategici che possano fare da ponte tra noi e l’estate (ancora lontana, ma non troppo) e si impostano le coordinate per assaporare nuovi panorami.

Raito Vietri sul Mare Suite

Scorgere la Costiera (Patrimonio UNESCO dal 1997), precisamente da Vietri sul Mare, prima perla di questa lunga terrazza sull’infinito blu, è sempre un’emozione scenografica; avvistare d’improvviso il profilo della bruna terra che stipula il suo patto di bellezza con l’acqua mediterranea potrebbe provocare ai sensibili una pausa compensatoria del cuore. Per fortuna ci pensa l’Autostrada a guidarci (A3 – uscita Vietri sul Mare), a condurci per mano lungo la collina che, scendendo, guarda la Baia di Salerno degradando fino a toccare il suo mare.

Nella bella Vietri, è possibile ritrovare tutto il fascino di un borgo marinaro che, oltre alla sua piccola Marina, porta avanti un’antica tradizione di inconfondibili ceramiche.

Sovrastata dalla forza del Monte San Liberatore e dominata dalla bella cupola maiolicata della Chiesa madre di San Giovanni Battista, di impianto seicentesco, la bella Vietri annovera tra le frazioni Molina, Albori e Raito affacciate anche loro come balconi sul golfo tra limonaie, macchie di colore, inattese fonti e sentieri nel verde lussureggiante, vallate, promontori, insenature scavate nella meravigliosa cornice dei monti Lattari che accoglie ulivi e vigneti aggrappati alla vulcanica terra.

raito
raito

Proprio qui l’Hotel Raito – Wellness & SPA, del gruppo Ragosta Hotels Collection (www.ragostahotels.com), Vi attende per regalarvi una pausa fuori da tempo con il suo design ricercato e moderno, le sue camere e suite panoramiche, i suoi ristoranti per ogni porzione del giorno per abbandonarsi alle gioie del palato e della vista. E poi SPA, saloni esterni e divani, piscine all’aperto e solarium, trionfi di glicini ed agrumeti: il Raito rappresenta davvero la meta perfetta per un soggiorno all’insegna del benessere e, “a ragion veduta”, location ideale per ricevimenti, eventi privati e sottolineature a tu per tu con l’eccellenza made in Italy.

Qui la cucina completa perfettamente la gamma delle ricercatezze grazie alla creatività e precisione d’esecuzione dell’Executive Chef Francesco Russo, classe ’79, originario della provincia di Salerno e amante della sua rigogliosa terra.

Nei suoi undici anni di fedele esperienza chef Russo ha cucito un’offerta gastronomica che vuole farsi moderna interprete di tradizioni del territorio partendo dalla rilettura di ricette tipiche campane in modo energico ed emozionale tramite l’utilizzo di materie ottime prime di questo fortunato tratto di mondo e tecniche volte a portare in tavola la memorabile intensità dei sapori orientati a sud.

Da piccolo non giocavo in cucina, ho imparato a mangiare a casa e ho maturato nel tempo la passione per questa professione spinto dalla mia famiglia che scorgeva in me del potenziale. Io volevo fare l’orafo, perchè mi piacciono la preziosità delle piccole cose, i dettagli, e questa attenzione la riporto nei miei piatti”. Si racconta così chef Russo che, attingendo alle sue passioni di musica e di arte, interpreta i piatti più famosi della tradizione campana con uno sguardo sempre attento alla bellezza cromatica della portata.

Come sei approdato al Raito?

“Dopo l’Istituto Alberghiero la mia gavetta è stata lunga. Ho cominciato con le stagioni estive partendo dal basso, pelando le patate. Nel mio percorso sono state due le tappe fondamentali: lo stage al San Domenico di Imola, 2 stelle Michelin, con lo Chef Valentino Marcattilii, e quello alla Certosa di San Giacomo (Lauro, AV) che in quel periodo aveva la consulenza di Gianfranco Vissani, dal quale ho imparato a conoscere approfonditamente la materia prima, a trattarla, a fissare i parametri di una cucina fatta di tradizione, fondi e cotture lente, per poi farne bagaglio. Qui sono arrivato tramite una concatenazione di eventi, colpito da questo spettacolo ho preso le redini di un progetto performante che si è rivelato un idillio che dura da 11 anni”.

In questi 11 anni come è cambiata la tua cucina?

Lo dico sempre: io sono uno “chef delle 2 T”, ovvero Tradizione e Territorio. Nella mia “Sfogliatella”, per capirci, è racchiuso un cuore di Parmigiana di Melanzane preparata seguendo la ricetta tradizionale al forno, come a casa. La “Sfogliatella” è un viaggio a ritroso nei sapori antichi che diventano contemporanei in abbinamento al pesce, alla zuppetta di moscardini alla Luciana in questo caso, e che rappresenta l’essenza della mia visione culinaria, la quale si è fatta via via più raffinata seguendo la mission della struttura e ritagliata su una clientela italiana attenta quanto su quella curiosa ed internazionale. 

Francesco Russo nel suo menù propone piatti icona come “Sfogliatella salata farcita di parmigiana di melanzane su ragu di moscardini alla Luciana” dove sigilla in una sola portata tre diverse tradizioni e dove la generosa bontà di ciascuna delle componenti del piatto – la croccantezza della sfogliatella, la scioglievolezza del ripieno di parmigiana, la densità della zuppetta e la consistenza dei moscardini – fa rimpiangere la possibilità di non poter assaporare una realizzazione alla volta.

Il “Risotto al Pomo d‘Oro” è un vero e proprio elogio ai pomodori Corbarino e San Marzano, peculiari coltivazioni del Sud Italia. Dall’acqua, nella quale cuoce il risotto, alla polvere di pomodoro, passando per la foglia d’oro (citazione marchesiana), questa è una portata protagonista nella sua semplicità, raffinata nel suo gioco di sapori e amidi, dolcezza e acidità, sapori netti e carichi di ricordi, capaci di far tornare indietro con la memoria alla tavola di casa e di veleggiare tra le potenzialità del rosso frutto che ha rivoluzionato il nostro modo di vedere e di intendere la cucina italiana.


Nella terra della pasta, come mai proponi un risotto per celebrare la tua regione?

Nonostante non ci sia una grande tradizione di risotti al sud, io spesso lo propongo nei miei menù. Il “Risotto al Pomo d’Oro” è un piatto sul quale abbiamo riflettuto tanto, perchè volevamo concentrare l’essenza del pomodoro Corbarino e del San Marzano. Il risultato? L’esclusività dei sapori antichi. Il riso, del quale sono un grande estimatore, mi affascina per le sue potenzialità tanto da inserirlo nella triade di ingredienti che caratterizzano la mia cucina assieme ai crostacei, crudi o cotti, e Sua Maestà olio EVO.

Il mio aglio olio e peperoncino”, molto ben realizzato, è infatti un altro piatto di chef Russo. Oltre alla sua semplice descrizione, annovera tarallo grattugiato e colatura di alici di Cetara che arricchiscono di molto la gamma dei sapori. Sempre sul tema EVO il “baccalà in oliocottura con scarola riccia e salsa di papaccelle” si confronta con uno dei sovrani della cucina di queste parti, il baccalà, cotto in olio a 85°C per esaltare tutta la piacevolezza delle carni bianche e guarnito con la tradizionale, qui sublimata, “insalata di rinforzo”, disponendo cromaticamente qua e là petali di patata viola, riccioli di carote, ciuffi di scarola riccia e gocce di un’intensa crema di papaccelle (la papaccella napoletana è un peperone dolce di piccole dimensioni, dai frutti schiacciati e costoluti).

Chiude la Delizia al Limone destrutturata, reinventata e chiusa in una bolla di zucchero. Buona l’offerta di vini del territorio, bollicine e champagne che annovera le migliori cantine della zona. Degni di nota anche i cocktail e aperitivi serviti sia nei saloni interni ed esterni con vista senza fiato, sia al ristorante “Il Golfo” sia all“ExLounge Bar & Grill”, dove di sovente si organizzano impeccabili matrimoni ed eventi speciali in un’ambientazione con avanzati supporti hi-tech e la preziosa supervisione e presenza del direttore Massimiliano Longhitano, siciliano, sorridente e perfetto nel suo ruolo.


Completa l’offerta di lusso e gusto il centro benessere ExPure SPA lingresso con percorso SPA ha un costo di 35€ per gli ospiti esterni – che annovera una piscina coperta riscaldata, una sauna, un bagno turco, lettini sensoriali, idromassaggio, area relax, solarium, parrucchiere e cabine massaggi per trattamenti personalizzati e programmi ad hoc realizzati da uno staff specializzato. Dal Raito è facile visitare l’intera Costiera e raggiungere luoghi d’interesse turistico, storico e archeologico come Amalfi, Positano, Pompei ed Ercolano.

Ragosta Hotels Collection, oltre al Raito Wellness&SPA, offre 4 prestigiose strutture a 5 stelle in Italia: Palazzo Montemartini Rome, A Radisson Collection Hotel a Roma, 82 camere e suite accanto alle Terme di Diocleziano, La Plage Resort a Taormina, 59 camere e suite proprio di fronte all’Isola Bella, l’Hotel Raito, 77 camere, e il Relais Paradiso, 22 camere, entrambi in Costiera Amalfitana, rappresentano realtà affermate nel settore, con uno stile unico ed un design contemporaneo.

Info utili

Hotel Raito

Via Nuova Raito 9 – 84019 Vietri sul Mare (SA)

Tel: 089.7634 111

Sito

Mail: info@hotelraito.it, reservations@hotelraito.it

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